Un incerto Brasile diserta dal dualismo Lula vs. Bolsonaro. E’ il dato più insistente nell’informazione nazionale e il più trascurato dai commentatori lontani. L’ultimo e vasto rinnovo amministrativo dei governi locali, all’analisi del voto conferma la sua tendenza alla volatilità e alla frammentazione. Con interi boschi amazzonici e periferie di grandi città, gli incendi delle settimane scorse che feriscono profondamente la straordinaria bio-diversità brasiliana nel mondo, ha incenerito anche le attese elettorali tanto dell’estremismo bolsonarista quanto dell’impallidito riformismo di Lula (da due anni tornato al vertice dello stato). L’assenteismo, male epidemico di un elettoralismo disgiunto dalla politica delle cose, non risparmia il gigante sudamericano: nella megalopoli San Paolo, cuore pulsante dell’economia nazionale, ha raggiunto il 31,54% (quasi 3 milioni di elettori).
L’ opposizione politica tra l’ex operaio metalmeccanico che ha modernizzato il Brasile dopo la ventennale dittatura dei generali e l’ex ufficiale dell’esercito che se ne è assunto l’eredità è tanto radicale da essere stata trasformata in un paradigma anche ideologico nell’opinione internazionale. Tuttavia, nei fatti, ora sembra venir meno. Vero che nell’abbondante cinquantina dei rinnovati consigli comunali in tutto il paese il partito liberale (PL) ha superato di gran lunga il numero di seggi conquistati dal partito del lavoro (PT) di Lula. Ma l’ex capo di stato (interdetto fino al 2026 dalla giustizia per il violento assalto compiuto nel gennaio 2023 dai suoi facinorosi alle massime istituzioni di Brasilia, nel tentativo d’impedire l’insediamento di Lula, regolarmente eletto), ha ottenuto questo risultato solo grazie agli alleati che lo hanno accompagnato nelle varie e diverse coalizioni. Tant’è che nessuno dei maggiori centri urbani sarà governato da un suo sindaco.
A prevalere è stata la destra tradizionale, con cui è tornata a vincolarsi il capitalismo oligarchico che rafforza la propria iniziativa nell’intero continente. Risultato di un decennio in cui l’ intensa introduzione delle nuove tecnologie nella produzione industriale, lo sfruttamento illegale d’immensi terreni forestali formalmente protetti, fenomeni meteorologici che hanno agito da moltiplicatori del dissesto ecologico, hanno accentuato le storiche disuguaglianze economiche. Provocando anche un sommovimento socio-culturale tale da sminuzzare la già insufficiente integrazione della società brasiliana. Del proliferare di interessi e leaders localistici reso maggiormente evidente da questa consultazione elettorale, ben lontano dal poterli federare, Bolsonaro appare soltanto rappresentarne qualche terminale.
Ne’ va molto meglio al presidente Lula, sia in patria sia sulla scena internazionale. Il pur importante recupero di dialogo con l’ala moderata del potentissimo fronte evangelico non è almeno finora sufficiente a placare il dissenso interno al suo PT, tra laburisti storici e innovatori pragmatisti. Riflesso delle difficoltà create in tutti i partiti senza eccezioni e soprattutto in quelli nati su un presupposto classista, a ritrovare al proprio interno una compatibilità per le nuove identità (socio-economiche e di genere), esplose in una società già fortemente squilibrata. La pressante mediazione per convincere Nicolas Maduro a rinunciare alla fraudolenta vittoria elettorale in Venezuela -infine- è vistosamente fallita per il suo disperato oltranzismo. Che ha costretto Lula a una rottura, proprio alla vigilia del G20 che il Brasile ospita a Rio de Janeiro per discutere della corruzione nella politica e negli affari.