Basta con l’ipocrisia di chi chiede a Netanyahu di fermarsi: dopo l’orrore di ieri, dovremmo aver capito che non lo farà. Non è mai stato un moderato, non ha mai dato vita a esecutivi dialoganti, non gliene importa nulla della pace.
Il suo unico, vero obiettivo è ridefinire i confini del Medio Oriente, riscrivendone la carta geografica e, di fatto, ponendo Israele in una condizione di dominio assoluto che sarebbe la sua fine.
Perché questo Stato, nato grazie a una risoluzione dell’ONU, mal visto da quasi tutti i vicini e tollerato dalla comunità internazionale in nome del comprensibile risarcimento in seguito alla tragedia della Shoah, per sopravvivere ed essere riconosciuto e legittimato agli occhi del mondo, ha bisogno di stabilità. Deve diventare un elemento d’equilibrio, un ponte fra culture diverse, un alleato globale, cosa che non è mai stato ma diciamo che in altre epoche, ad esempio ai tempi di Rabin e degli Accordi di Oslo con Arafat, si è quanto meno sforzato di essere. Non è più così da oltre vent’anni e temiamo che questa guerra sia destinata a durare all’infinito, forse a sfociare in un conflitto ancora più grande, speriamo non in una catastrofe globale.
Bisogna, dunque, salvare Israele da se stesso e dai suoi governanti. Non solo: bisogna salvare il suo popolo, peraltro assai critico nei confronti di un esecutivo fallimentare già prima del 7 ottobre e ormai inviso a chiunque, a cominciare dai familiari delle persone rapite dai guerriglieri di Hamas, di cui possiamo dire, a ragion veduta, che all’aspirante dominus della regione importi assai poco.
A Netanyahu, infatti, interessa solo la questione geo-politica, costi quel che costi. Come detto, vuole passare alla storia come colui che ha ridefinito la realtà tragica di una terra intrisa di sangue, incurante del fatto che il discredito che sta attirando addosso alla sua gente sia destinato a durare decenni e, evidentemente, anche dell’odio anti-ebraico che si sta diffondendo a macchia d’olio in tutto l’Occidente. Non avevamo mai assistito a un simile disinteresse per la persona umana. Mai ci era capitato di dover fare i conti con un simile cinismo.
L’attacco di ieri nei confronti dell’UNIFIL, coinvolgendo da vicino anche l’Italia, è soltanto l’ultimo passo verso un’escalation senza confini, cui la comunità internazionale può porre un argine solo facendo fronte comune. Ormai è chiaro, difatti, che il fondamentalismo di un governo screditato, in patria e all’estero, stia ponendo le premesse per una furia illimitata, facendo crescere una generazione di potenziali terroristi il cui scopo nella vita rischia di essere quello di vendicare i propri cari massacrati in maniera atroce, da Gaza al Libano. Basterebbe riascoltare un intervento pronunciato al Senato da Andreotti nel luglio del 2006 per sapere che è così. Basterebbe avere il coraggio di compiere un’analisi che vada al di là del manicheismo di maniera di cui, ahinoi, si sono riempiti i principali mezzi d’informazione italiani.
Basterebbe guardare in faccia la realtà, virtù sconosciuta ai più nei periodi di guerra. Qui, infatti, non si tratta più di stabilire chi abbia ragione e chi abbia torto: è evidente che la ragione quasi non esista e i torti siano diffusi. Si tratta, piuttosto, di restituire umanità a una terra senza pace e senza futuro, di donarle almeno la speranza di poter rinascere dalle macerie, di scongiurare il peggio.
Se vogliamo dare un senso alla barbarie del 7 ottobre, se vogliamo farne una data-monito anziché l’inizio di una nuova Nakba, se vogliamo arrestare, per quanto possibile, la follia che da Gaza si sta estendendo al Libano, all’Iran e via via agli altri paesi del Medio Oriente, dobbiamo intervenire subito. Una convocazione dell’ambasciatore israeliano, per quanto riguarda l’Italia, sarebbe il minimo.
Poi dovrebbero intervenire, congiuntamente, Europa e Nazioni Unite, sempre che esistano ancora. Solo allora, forse, si potrà tornare a parlare di diplomazia. Nelle condizioni date, spiace dirlo, ma siamo di fronte alle einaudiane “prediche inutili”.
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