È una escalation, un continuo alzare l’asticella con il rischio che ad attutire l’inevitabile caduta a terra non ci sia alcun materassino di gommapiuma ma solo vittime innocenti di uno sfracello organizzato con gelida precisione.
Limitandoci a passare in rassegna solo gli ultimi 15 giorni (al netto delle stragi quotidiane), il primo ministro israeliano Bibi Netanyahu ha cominciato a dare fuoco alle polveri il 26 settembre scorso nel Palazzo di Vetro di New York definendo l’assemblea dell’Onu “una società terrapiattista anti-israeliana” dove va in scena “una farsa sprezzante” per chiudere apoditticamente il suo discorso bollando il claudicante organismo come “una palude antisemita per il sostegno dato a terroristi, stupratori e assassini di Hamas, Hezbollah, Houti ed Iran”. Non coglie dunque di sorpresa se il 2 ottobre (appena 5 giorni dopo) il ministro degli Esteri di Tel Aviv ha dichiarato Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, persona non grata vietandogli nei fatti l’ingresso in Israele e privandolo dell’immunità diplomatica. Poi il fuoco ed i feriti tra le forze dell’Unifil con l’inaccettabile richiesta di ritirare i caschi blu dalle aree di combattimento in Libano per portare meglio a termine il lavoro intrapreso.
In tutto ciò stupisce il silenzio internazionale, i balbettii politici, le afasie di comodo, le provvidenziali amnesie che impediscono di prendere una sola e immediata decisione: bloccare i rifornimenti di armi ad Israele. Una proposta avanzata dal presidente francese Macron ma che al di là delle dichiarazioni di prammatica degli alleati europei non trova un compiuto compimento.
Dietro i balbettii, c’è altro. C’è l’oscura tela che lega insieme il candidato Trump al presidente argentino Javier Milei, il fascista ungherese Orban al sovranismo internazionale: tutti questi hanno (non a caso) le idee chiare su come risolvere la crisi in medioriente, magari lasciando mano libera ad Israele per dare il colpo definitivo all’Iran con il rischio anche calcolato di innescare un conflitto planetario.
In questo momento Andrea Tenenti, portavoce dell’Unifil, sembra l’unica persona in grado di testimoniare pienamente la drammaticità degli avvenimenti per la conoscenza diretta che gli deriva dalla presenza sul teatro degli avvenimenti. “Il conflitto tra Hezbollah ed Israele non è solo un conflitto tra due paesi, si trasformerà in un conflitto regionale con un impatto catastrofico per tutti”. Bisogna agire, rompere gli indugi prima che sia troppo tardi. Per tutti.