Libera piazza in libero Stato

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Purtroppo si sapeva che sarebbe finita così, che ci sarebbero stati scontri e violenze, che qualcuno ne avrebbe approfittato per dar sfogo alla propria imbecillità. Quella di ieri a Roma era una piazza doverosa, pacifista, volta a rivendicare il diritto di esistere del popolo palestinese, contestando la barbarie non di uno stato, Israele, ma di un leader politico, Netanyahu, che in un anno ha aperto molteplici fronti di guerra, scatenando un odio nei confronti del suo stesso popolo che non si vedeva dalla Seconda guerra mondiale. Una manifestazione giusta, dunque, che il governo ha vietato nel tentativo di salvarsi, esibendo un atlantismo di maniera che serve a coprire i rapporti difficili, per non dire quasi inesistenti, con l’Unione Europea ma che non lo salverà – non si illudano – dall’inevitabile declino cui sta già andando incontro. Non a caso, dopo aver tanto tuonato, si sono dovuti arrendere all’evidenza: finché esisterà l’articolo 21 della Costituzione, qualunque opinione, persino la più abietta, non può essere tenuta fuori dall’agone politico. Il danno, tuttavia, ormai era stato compiuto, e il brutto finale dell’evento, al pari della solerzia di determinati agenti nel corso del medesimo, costituiva di fatto un dato strutturale, consustanziale al clima che si era venuto a creare.
Per scongiurare tutto questo, sarebbe bastato applicare la nostra Carta, la stessa che vorrebbero stravolgere, consentendo alla manifestazione di svolgersi tranquillamente, presidiandola com’è giusto che sia, tenendo a bada le teste calde e permettendo alla stragrande maggioranza delle persone, accorse da ogni angolo d’Italia, di dire la propria serenamente. Qualora fosse stato esibito qualche cartello sconveniente, lo si sarebbe potuto e dovuto stigmatizzare, senza per questo gettare la croce addosso a un’intera comunità.
Quelle che sto esprimendo sono banalissime idee liberali: niente di più e niente di meno. Non c’è nulla di rivoluzionario in questi pensieri, nulla che non sia in linea con la visione di una democrazia occidentale matura che non ha paura del pensiero critico e, meno che mai, di qualche riflessione urticante e, peraltro, in larga misura condivisibile.
Un capitolo a parte, infine, lo merita l’informazione. Parliamoci chiaro: se tanta gente non ci legge e non ci ascolta più è perché non si fida di noi, per usare un eufemismo. E mi spiace dirlo, ma dopo ciò che ho letto e ascoltato in questi giorni ad opera di alcuni commentatori, fra richieste di bavaglio e veri e propri atti di dileggio nei confronti dei manifestanti, mi son detto che non bisogna generalizzare, che non siamo tutti uguali, che bisogna saper distinguere fra giornalisti-giornalisti e megafoni del potere di turno, qualunque esso sia, ma mi sono detto anche che la categoria, nel suo complesso, sta attraversando una fase storica nella quale si merita ampiamente il discredito di cui è fatta oggetto. Il che, unito al disastro della politica, la dice lunga sulle condizioni in cui versa la nostra democrazia.

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