“Ascoltateci e fermatevi, perché rischiamo la deriva, rischiamo di somigliare più alla Turchia che agli Stati Uniti”. In una sola frase il Presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, Carlo Bartoli, riassume i molti concetti e le preoccupazioni che sono alla base della conferenza stampa su “Giustizia: informazione a rischio” presso la sede della Stampa Estera. La sede non è casuale, i giornalisti italiani vogliano che si sappia in Europa e ovunque nel mondo che le ultime leggi sulla giustizia sono, in realtà, contro l’informazione. Due i nodi principali (ed emergenti): il divieto di pubblicazione integrale di qualunque passaggio delle ordinanze di custodia cautelare e il cosiddetto decreto Cartabia, in vigore da due anni, che attribuisce ai Procuratori della Repubblica la facoltà esclusiva di fornire notizie ai giornalisti. Per comprendere la deriva autocratica e pericolosa verso la quale stanno conducendo le ultime riforme sono state assai utili un paio di considerazioni di Gian Antonio Stella, che ha citato Gaetano Polverelli, capo ufficio stampa di Mussolini da dicembre 1931 ad agosto 1933, che suggeriva, al tempo della massima espansione del regime fascista, di fare una cronaca “leggera”, senza infierire troppo e stando ad un massimo di 30 righe per articolo, salvo deroghe autorizzate. Ecco, tornare a quel controllo esasperato dell’informazione è ciò che si intuisce in modo abbastanza chiaro nello spirito delle norme di recente introduzione, tutte aventi, peraltro, lo stesso comun denominatore, ossia la violazione di plurime sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che riconoscono al giornalista la libertà di raccontare notizie di interesse pubblico come meglio crede e persino la Direttiva sulla presunzione d’innocenza, evocata per la legge Costa, fa salva “la libertà di stampa”, quindi dice esattamente il contrario di ciò che emerge dalla legge medesima. L’occasione per questa conferenza stampa è anche data dalla pubblicazione da parte dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti di un manuale agevole per chi segue la cronaca giudiziaria proprio alla luce dei molti divieti introdotti nell’ordinamento, ma soprattutto è l’ultima tappa di una serie di iniziative degli organismi di rappresentanza dei giornalisti, che in tutte le audizioni parlamentari hanno elencato le anomalie del decreto Cartabia, del cosiddetto emendamento Costa, oltre che dallo stallo ingiustificabile in cui versano le proposte sulla riforma del reato di diffamazione a mezzo stampa e dell’abolizione del carcere per i giornalisti. Pena tuttora applicata, come ha testimoniato Pasquale Napolitano, condannato a maggio scorso a 8 mesi di carcere per diffamazione in relazione ad un articolo di 14 righe che parlava di dissidi interni all’ordine degli avvocati della sua città. “Diversamente da quanto ho fatto per altre querele, in questo caso non mi sono preoccupato più di tanto. – ha detto Napolitano – Dopo la sentenza, che mi ha lasciato basito, ho scoperto anche altro. Per esempio che il giudice che ha emesso la sentenza non era togato e che in precedenza era stato un avvocato iscritto allo stesso Foro di cui io mi ero occupato nell’articolo. Sempre quello stesso giudice aveva giudicato un uomo accusato di maltrattamenti in famiglia comminando sette mesi di carcere. Quindi è più grave un articolo di giornale che non la violenza domestica! Andremo in Appello davanti a Napoli e speriamo che la sensibilità verso la libertà di informazione di un ufficio giudiziario grande superi la valutazione di un piccolo Tribunale”. Di storie come queste è piena la quotidianità, ieri è stata accesa un’altra luce sul “caso informazione in Italia”.