Con Sadasf Asgari, Ghazal Shojaei
Teheran. La giovane studentessa universitaria Fereshteh cerca, disperatamente, insieme all’amica Atefeh, una persona cui affidare per una notte la propria figlioletta di due mesi, nata fuori dal matrimonio e frutto di un rapporto poi finito. Il tutto per evitare che i genitori, tradizionalisti, di passaggio nella capitale iraniana, si accorgano di questa sua nuova condizione.
La cinepresa di Asgari insegue la protagonista per Teheran come quella di De Sica inseguiva l’attacchino Ricci-Maggiorani di “Ladri di biciclette” per Roma, entrambi impegnati in una corsa contro il tempo, per arrivare a raggiungere un obiettivo necessario per continuare a vivere tranquillamente. Nel mezzo ci sono fatti, volti, paure e sentimenti che sono sempre quelli, universali, validi per tutti, senza distinzione di tempo nè spazio. Può cambiare la motivazione, ma l’essere inseguiti dagli eventi, rincorrere la propria serenità è uguale dappertutto, è soltanto umano. Fare qualcosa perchè si è costretti a farla raddoppia e triplica la fatica, come per Fereshteh che deve nascondere ogni grande e piccola traccia della sua bambina, e i borsoni che le contengono pesano, su e giù per le scale, comunicando allo spettatore quel senso fisico di pesantezza e di costrizione che è soltanto mancanza di libertà. Non potere vivere la propria condizione naturale di madre, nascondendola, significa non essere più, significa negare ogni sentimento, piegarlo a qualcosa che ti riduce a niente, all’annullamento. Non c’è trama in questo film, o, se c’è, è soltanto l’assurdità quella che Asgari racconta, assurta a regola in uno Stato che invece di proteggerti ti vessa, ti distrugge e lacera i sentimenti, quelli ovvi come l’aria che si respira. Allora, l’unica cosa da descrivere, da mostrare, in mezzo a tanta insensatezza, è la sofferenza, disegnata in gesti e sguardi da cui sgorga la poesia del vinto, del fuggiasco senza nessuna colpa, dell’amore violato in nome di una cultura folle e delirante. La vita interrotta, lo scorrere delle cose che cambia di senso, il tunnel della paura che diventa infinito. Tutto il concetto di normalità viene alterato in un attimo, nel giro di una telefonata, la più banale, che diventa la più tragica. L’impotenza vince dinnazi alla realtà rivoltata, ma basta un taxi che si allontana sempre di più, facendo assurgere, genialmente, il rumore del motore a colonna sonora da brivido, perchè una giovane madre si decida a non accettare, a qualsiasi prezzo, di stare lontano dalla sua bambina. E come si fa a non sottolineare l’analogia di questa magistrale sequenza con quella del cellulare che porta via dalla sua libertà l’Antoine Doinel de ” I 400 colpi” truffautiani, in un parallelismo che dice tutto dell’arte che insegue l’arte, inevitabilmente. Un film, dunque, quello di Asgari, che è insieme simbolo, metafora e realtà di un paese che si ostina a vivere, che non accetta di perdere la propria umanità, qui quella di una donna che non vuole e, soprattutto, non deve, neanche per una notte, essere costretta a stare lontana da chi ama. “La bambina segreta” arriva in Italia a due anni dalla sua realizzazione (2022), ed è uno dei migliori film visti nel 2024, se non, ad oggi, il migliore in assoluto, ennesima conferma di una cinematografia, che, seppure costretta alla clandestinità, continua a regalarci, ormai da tempo, capolavori assoluti.