I migliori auguri a Jennifer Ulrich, che oggi compie quarant’anni e merita davvero il meglio. Jennifer, infatti, non è solo una grande attrice, nata nel distretto di Lichtenberg, Berlino est, cinque anni prima dall’abbattimento del Muro che divideva in due la città; è, più che mai, una donna impegnata, animata da una passione civile incredibile e capace di essere sempre nel vivo delle questioni, sempre in prima fila e sempre al servizio di cause giuste. C’è quando ai tratta di battersi per i diritti umani, quando si tratta di opporsi alla deriva nazistoide incarnata da Alternative für Deutschland, quando si tratta di lottare contro ogni fascismo, quando si tratta di chiedere che vengano introdotti i codici identificativi sui caschi degli agenti di Polizia italiani, sulle cause ambientali; insomma, è una di quelle persone che salvano il mondo senza fare proclami e senza chiedere nulla in cambio.
Personalmente, l’ho conosciuta all’inizio della mia inchiesta sui fatti avvenuti al G8 di Genova. Jenny, difatti, nel capolavoro realizzato da Daniele Vicari, interpreta Alma Koch, un personaggio ispirato alla vera storia della ragazza tedesca cui ruppero i denti durante l’assalto alla Diaz. E non si limita a interpretarla: vi si compenetra. Diventa Alma Koch in ogni singolo aspetto, in ogni fibra del suo corpo, al punto di accettare un vero sputo in faccia, senza ricorrere alle finzioni scenografiche, per soffrire come avevano sofferto i ragazzi e le ragazze torturati nella caserma di Bolzaneto. Non solo: nella prima parte del film si limita a pronunciare poche battute, non certo memorabili, ma nella seconda, quando parla con gli occhi, attraverso una mimica facciale che rende alla perfezione lo strazio di quei momenti, il suo ruolo diventa quasi allegorico. Vicari, infatti, ha scelto di concentrare su di lei vari tormenti, le storie di più ragazze selvaggiamente umiliate in quel lager allestito in Valpolcevera, e lei non si è risparmiata. Del resto, chiunque abbia accettato di far parte di quel cast sapeva a cosa sarebbe andato incontro. Per me, comunque ce ne sia occupati, Genova costituisce uno spartiacque e una patria morale: esiste un prima e un dopo, chi è schierato dalla parte delle vittime e chi dei carnefici. Le sfumature, in questo caso, non hanno senso. E Jennifer ha sempre saputo da che parte stare: dalla parte della verità, della giustizia, dell’amore per il prossimo, del contrasto di ogni violenza, della testimonianza in nome dei diritti delle donne, della denuncia delle molestie e degli stupri, qualunque sia la loro modalità, e, più che mai, di chi non ha mai smesso di pagare in prima persona affinché quella storia tragica non cadesse nell’oblio.
Non a caso, venne scelta per interpretare Alma Koch dopo aver interpretato Karo, la protagonista de “L’onda”, che racconta la vicenda di un esperiemto compiuto in un istituto scolastico tedesco, nel quale un professore incita gli studenti a dar vita a una sorta di setta che presto si trasforma in un qualcosa di simile a un’organizzazione nazionalsocialista. Ebbene, Karo che getta i volantini contro l’Onda dalle tribune della piscina scolastica altro non è che una trasposizione contemporanea della figura di Sophie Scholl. Così come la sua scelta di presentarsi a scuola vestita di rosso mentre tutti gli altri avevano accettato di vestirsi di bianco incarna una ribellione al male che dovrebbe essere d’esempio. Ribadisco: Jenny non interpreta Karo o Alma, è fatta così. Ha in sé una bellezza profonda, una gentilezza d’animo, un grande senso dello Stato e delle istituzioni, un’idea precisa dello stare insieme e un rifiuto totale nei confronti di ogni forma di barbarie. Riesce a dare il massimo in qualunque parte, ma le testimoni del nostro tempo ingiusto sono il suo forte. E poi ama l’Italia, reputandola la sua seconda casa e venendoci spesso in vacanza, il che rende bene l’idea di cosa Genova abbia rappresentato nella nostra vicenda pubblica e privata. È stata un destino, un crogiolo ardente, un incontro di strade e un mescolarsi di orizzonti, e ha rappresentato tutto ciò sia per chi vi ha manifestato nell’estate del 2001 sia per chi se n’è occupato in seguito. Personalmente, ribadisco, mi ha cambiato la vita. E aggiungo che mai avrei immaginato tanta disponibilità da parte di un’attrice di quel livello, la quale, essendo in vacanza in Grecia, arrivò addirittura a chiedermi se potessi aspettare qualche giorno prima di ricevere le sue risposte, così da potersi concentrare meglio per affrontare un argomento che le stava a cuore, avendole, a sua volta, cambiato la vita. Da allora, non ho mai smesso di stimarla, di seguirla e di apprezzarne le iniziative. Penso che incarni una sorta di coscienza civile europea, un esempio di cittadinanza attiva e un simbolo di come potremmo essere se solo ne avessimo il coraggio.
Non ho dubbi che, prima o poi, tornerà a girare un film in Italia, dopo aver peraltro recitato nella parte di Emily in “Drive me home” di Simone Catania, e sono contento che segua con tanta attenzione le nostre questioni interne, dato che siamo in una fase in cui la Costituzione anti-fascista nata dalla Resistenza è sotto attacco e le garanzie democratiche si stanno affievolendo. Allo stesso modo, mi fa un gran piacere vederla schierata in prima linea nelle sfide culturali, politiche e sociali che attendono il suo Paese, per giunta alla vigilia di un appuntamento elettorale importantissimo come le Politiche del settembre prossimo.
Cara Jennifer, Roma e l’Italia, almeno per quanto ci riguarda, ti accoglieranno sempre a braccia aperte. Per il resto, è superfluo dire che farai ancora molta strada. L’importante è che resti così, ma anche su questo non abbiamo dubbi.