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Italia-Israele non si può giocare fin quando non sono garantiti i diritti umani

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Ospitare una partita della Nazionale è un orgoglio per qualsiasi città e siamo convinti che lo sport sia una delle attività umane più capaci di unire nel rispetto delle diversità e all’interno di una sana competitività. Ma a quali condizioni? La controversa vicenda della partita di calcio fra Italia e Israele da giocarsi a Udine il prossimo 14 ottobre sembra risolta con l’ottenimento del patrocinio da parte del Comune, che lo aveva precedentemente negato. Non vogliamo dimenticare – e condanniamo con fermezza – gli atroci crimini commessi da Hamas il 7 ottobre 2023, ma non vogliamo trascurare – e condanniamo con altrettanta fermezza – quanto da quel giorno la popolazione inerme della Striscia di Gaza sta subendo. Nella consapevolezza che il patrocinio – forma importante di riconoscimento e di simbolica adesione a un’iniziativa ritenuta meritevole – non è un atto dovuto, che cosa ha indotto il sindaco a tornare sul suo precedente diniego?
È cambiato davvero qualcosa rispetto al fatto che Israele sia uno Stato che ha sancito l’apartheid attraverso una legge del proprio Parlamento, approvata nel luglio del 2018? La legge dichiara Gerusalemme capitale di Israele, legittima le colonie stabilendo che “lo Stato vede lo sviluppo degli insediamenti ebraici come un interesse nazionale e agirà per incoraggiare e promuovere il suo consolidamento”. Dichiara che la Terra d’Israele è la patria storica del popolo ebraico, che al solo popolo ebraico spetta il diritto all’autodeterminazione.
Chi non è ebreo, per quanto viva da secoli nella terra di Palestina, diversamente dall’immigrazione ebraica che dura da poco più di un secolo, è ritenuto un ospite in quella terra. I Palestinesi d’Israele rappresentano il 20% della popolazione e ben 4 milioni e mezzo sono chiusi in Cisgiordania e Gaza. Ai Palestinesi di Gaza e Cisgiordania è raccomandato di andarsene “con le buone o con le cattive”. E siamo giunti al “plausibile genocidio in corso”, come ha sentenziato la Corte Internazionale di Giustizia. E noi giochiamo con una rappresentanza nazionale ufficiale di quello Stato? Ma cosa abbiamo fatto quando in Sudafrica c’era l’apartheid? La comunità internazionale varò una serie di sanzioni al regime segregazionista sudafricano. L’apartheid fu dichiarato crimine internazionale da una convenzione delle Nazioni Unite, votata dall’Assemblea generale nel 1973 ed entrata in vigore nel 1976, e fu inserito nella lista dei crimini contro l’umanità. Da allora e fino al termine di quel regime il Sudafrica fu bandito dalle Olimpiadi. Il sindaco, attraverso annunciate iniziative di dialogo, che lo avrebbero indotto a concedere il patrocinio, desidera “costruire una terza via” lontana dall’essere divisiva. Tali iniziative avrebbero valore se avvenissero prima dell’incontro sportivo e consentissero una dichiarazione congiunta delle squadre che l’apartheid va abolito e la convivenza fra i popoli va garantita con parità di diritti umani, come vuole il Diritto internazionale. Se questo non avviene, non si può giocare.

 


Lettera aperta firmata da
Centro di Accoglienza “Ernesto Balducci” – Zugliano (UD) Rete DASI – Diritti, Accoglienza e Solidarietà Internazionale del Fvg Campagna “Ponti e Non Muri” – Pax Christi Italia”


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