Mercoledì 23 ottobre, il TAR si pronuncerà sul ricorso promosso da Articolo 21 e altre associazioni contro le procedure di nomina del Consiglio di Amministrazione della Rai, ritenute in evidente contrasto con le sentenze della Corte Costituzionale e il Regolamento Europeo sulla libertà dei media (EMFA): un’iniziativa nata con l’intento di inserire un elemento di rottura nell’ingranaggio della cosiddetta legge Renzi, al fine di interrompere quella coazione a ripetere che continua a impedire al servizio pubblico di adempiere pienamente alla sua missione istituzionale e di impresa.
Nonostante il Tar avesse riconosciuto l’ammissibilità del ricorso, a fine settembre, il Parlamento ha proceduto alla nomina del nuovo CdA. Questa forzatura ha spinto i legali dei ricorrenti (Rizzo Nervo, Rolando, Rossano) coordinati da Roberto Zaccaria, a presentare dei “motivi aggiunti” che, pur consolidando le ragioni del ricorso, potrebbero comportare uno slittamento della sentenza.
Tuttavia, indipendentemente dall’esito del giudizio amministrativo, è opportuno ripercorrere le tappe di questa vicenda, partendo da una riflessione.
Prima della presentazione del ricorso, chi avrebbe immaginato che la legge di riforma della governance della Rai sarebbe stata incardinata in Parlamento con l’impegno di approvarla entro il 5 agosto 2025, data di entrata in vigore del Regolamento Europeo? Nessuno! I partiti di governo, avevano snobbato il ricorso confidando di poter rinnovare il CdA contestualmente all’approvazione del bilancio 2023, il 28 maggio, due giorni prima del pronunciamento del Tar. I partiti di opposizione lo avevano accolto con freddezza: alcuni lo ritenevano ingenuo e velleitario, altri erano riluttanti a esporsi in una battaglia destinata alla sconfitta. Quindi, da una parte, la sfrontatezza di chi pensava “questa volta tocca a noi”; dall’altra, la rassegnazione di coloro che avevano sostenuto e votato la legge Renzi, e successivamente, pur trovandosi al governo, non avevano mai preso in considerazione l’ipotesi di modificarla, nonostante i suoi evidenti profili di incostituzionalità
A partire dal mese di giugno, inizia il balletto della calendarizzazione”, dei vertici di maggioranza annunciati e smentiti, dei retroscena sulla spartizione delle direzioni e delle testate, di un presidente eletto con la complicità di qualche esponente della minoranza, di un possibile ritiro sull’Aventino: il tutto a conferma del malcostume connaturato a una legge che riduce la Rai ad essere soltanto una posto in gioco piuttosto che la colonna portante dell’industria culturale del paese e un presidio imprescindibile di pluralismo politico e sociale.
Ad agosto si susseguono una serie di colpi di scena. Inaspettatamente, i partiti dell’opposizione al completo firmano un appello rivolto a tutte le forze politiche affinché prima del rinnovo del CdA si proceda alla riforma della legge attuale che
«con il via libera da parte del Parlamento europeo al Media Freedom Act appare superata”. Tra i firmatari compare lo stesso Renzi, promotore della legge che aveva imposto durante il suo mandato come capo del governo. Meloni, dal canto suo, sottolinea di aver votato contro quella legge quando era all’opposizione. Riconosce, quindi, i profili di incostituzionalità, ma non esita a trarne vantaggio.
Sono trascorsi tre mesi dalla presentazione del ricorso al Tar che tutti i partiti avevano ignorato, e ora quegli stessi partiti ne riconoscono le ragioni e le fanno proprie, non solo a parole. Il 2 ottobre, infatti, il Parlamento ha avviato l’esame dei numerosi progetti di legge di riforma che da anni giacevano, polverosi, negli archivi delle Camere. Il 22 ottobre, la presidente della Vigilanza, Floridia, ha annunciato che il 6 e 7 novembre si terranno gli Stati Generali della Rai “con l’obiettivo di ripensare i meccanismi del servizio pubblico, coinvolgendo la società civile”.
Il 23 ottobre il Tar si pronuncerà. A noi fa piacere pensare che, indipendentemente dall’esito, il ricorso – ignorato da tutti – sia stato un successo perché operando in modo silenzioso e tenace, come una vecchia talpa, ha scavato pazientemente, sottotraccia.