A Torino da oggi a sabato 26 ottobre si tengono le giornate del premio intitolato al prestigioso e compianto protagonista, centrate sul giornalismo investigativo under 30. L’iniziativa, ormai diventata un’istituzione stabile, vede -oltre alla Rai-una serie lunghissima di adesioni, tra cui spicca Libera di don Luigi Ciotti con cui collaborò lo stesso Morrione alla conclusione dell’attività lavorativa. Le giornate sabaude sono ricche di dibattiti e proiezioni, secondo un programma curato con tenacia e acutezza da Mara Filippi Morrione e dal presidente dell’associazione omologa Giovanni Celsi. Ricordare una personalità straordinaria come Roberto Morrione, che per anni è stato caporedattore e poi vicedirettore di un Tg1 ancora centrale nella dieta informativa italiana, sembra un atto quasi eversivo: una scomunica dall’al di là del megafono propagandistico di Palazzo Chigi e dell’esecutivo. Ciò che accade ora in parte significativa del servizio pubblico è assai grave e in talune circostanze persino ributtante. Il mondo di Morrione, figlio professionale di Enzo Biagi, era tutt’altro e -se mai- va rammentato agli smemorati che chi era ritenuto unanimemente il più meritevole non assurse alla funzione apicale del Tg1 a causa del fattore K. Già, la discriminazione anticomunista fu persistente malgrado Enrico Berlinguer e la caduta dei muri. È utile rifare un po’ di storia, per evitare di cadere in una grossolana equiparazione tra coloro che hanno resistito ai vari climi di regime e quanti sono stati subalterni o complici. Grande formatore di giovani talenti come -ad esempio- Sigfrido Ranucci, il suo lascito etico e professionale si ritrova nel programma torinese, che presenta in anteprima le inchieste finaliste del premio. Del resto, in tredici edizioni si sono alternati oltre 1400 giovani reporter, partecipanti ai bandi tesi a valorizzare le nuove generazioni. Il premio Baffo Rosso va ad Ezio Mauro, mentre al collettivo Cesura è dato lo speciale riconoscimento a quanti illuminano i lati bui della cronaca senza abbandonare la ricerca della verità.
Una novità rilevante è costituita dallo specifico premio Riccardo Laganà (il consigliere di amministrazione della Rai scomparso nell’agosto del 2023) Biodiversity, Sustainability, Animal Welfare, assegnato da una giuria presieduta dalla giornalista e autrice televisiva Sabrina Giannini. Svariate iniziative sono previste insieme al Gruppo Abele e ad Articolo21, per ribadire l’impegno contro ogni forma di discriminazione. Siamo dentro una stagione di guerra. Il rischio di una deflagrazione su scala vasta è immanente e le persone morte sono molte migliaia, ivi compresi croniste e cronisti uccisi senza che la presenza sui teatri dei conflitti per documentare e rendere edotta
l’opinione pubblica su ciò che accade sia preservata. Ciò che ci rimandano troppo spesso le testate è una sorta di progressiva assuefazione all’orrore e il linguaggio ha sdoganato parole maledette come arma nucleare. Ecco, quindi, che la manifestazione rende omaggio ad alcune delle vittime delle tragedie contemporanee: Ilaria Alpi, Miran Hrovatin, Enzo Baldoni, Andy Rocchelli e Andrej Mironov. Sono tristi anniversari: 1994, 2004, 2014. La lista sarebbe assai più lunga: da Mario Paciolla, a Italo Toni, ad Antonio Russo, a Giulio Regeni. Se ne parlerà in un panel dedicato al «Giornalismo che non muore», cui parteciperanno Arianna Arcara del collettivo Cesura, l’avvocata Alessandra Ballerini, il presidente dell’Ordine dei giornalisti Carlo Bartoli, il coordinatore di Articolo21 Giuseppe Giulietti, il portavoce di Amnesty International Riccardo Noury, Lucia Sgueglia, i genitori di Andy Elisa Signori e Rino Rocchelli. La discussione sarà coordinata da Davide Mattiello. Non manca negli appuntamenti la presenza della Federazione nazionale della stampa con Vittorio Di Trapani. Come si vede, non si tratta di un asettico festival, come è alla moda, bensì di un progetto di resistenza culturale e di lotta contro l’omologazione.
PS: dopo le recenti bravate, la direzione del Tg1 rimane così? E la commissione di vigilanza?