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Il lungo cammino di Netanyahu. La destra vince perché ha un progetto

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Dopo l’eliminazione di Rabin (1995) divenne inspiegabilmente primo ministro Benjamin Netanyahu. Tra le prime azioni politiche del suo mandato ci fu quella, provocatoria, di autorizzare la costruzione di una enorme Moschea a Nazareth, proprio accanto alla Chiesa dell’Annunciazione. La scelta allarmò oltre gli arabi cristiani (il 50% in città), anche i mussulmani moderati, perché chi avrebbe costruito la moschea sarebbero stati dei fanatici fondamentalisti. Il classico gioco del “Divide et impera”. Tra palestinesi moderati ed estremisti, la destra sionista preferisce questi ultimi.

Molti sospetti furono lanciati sui servizi segreti israeliani per l’omicidio di Arafat. Morto per avvelenamento da plutonio. Furono così puniti i firmatari degli accordi di Camp David. Dopo la morte del capo indiscusso della OLP ebbero il sopravvento sia Hamas a Gaza che Hezbollah in Libano. L’attuale guerra israeliana è stata sempre nel programma delle destre, che non hanno mai preso in considerazione l’esistenza dei due stati; ne basta uno, senza palestinesi.

In questi giorni è caduta la maschera: Netanyahu ha avuto la faccia tosta di mostrare al mondo la “sua” cartina geografica di Israele: con annessa la Cisgiordania. Con uno stato di Israele che va dal Mediterraneo al Giordano, non c’è alcuna possibilità di far nascere uno stato palestinese. Il cerchio si chiude. Le varie risoluzioni ONU sono bombardate, come i presidi Unifil in Libano.

Nessun interesse mostra la comunità internazionale per la fine dello stato e del popolo palestinesi. I residui progressisti del mondo possono solo trarre un insegnamento dalla vicenda della guerra in atto: la destra vince nel mondo perché ha le idee chiare, anche se pessime. Per il popolo, meglio pessime idee e progetti immorali, che il nulla che le forze democratiche hanno proposto, ovunque.


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