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Il cinema della democrazia è deserto

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Sono fascisti e se ne vantano, vanno in gita a Predappio, commemorano El Alamein, lucidano il busto del Duce esposto in salotto. Governano sereni, l’orizzonte è roseo. Sono corrotti e lo ammettono, patteggiano, entrano ed escono dai domiciliari, si candidano e vincono le elezioni. Accade in Liguria, dove al voto regionale partecipa un cittadino su due. L’altro elettore è salito in montagna? Sì, ma è andato a funghi.

Non se ne parli più: il voto di fine Ottobre ha definitivamente dimostrato che sono cadute alcune pregiudiziali credute un tempo determinanti. L’appartenenza alla cultura politica fascista – proprio quella del Ventennio, non una sua versione edulcorata – non danneggia più in alcun modo la presentabilità di chi la rivendica. E anche il molto più recente prurito civile contro la corruzione – divenuto uno stendardo pubblico trent’anni fa, ai tempi di Tangentopoli – è ormai definitivamente scomparso. Secoli di collusioni, alcuni decenni di berlusconismo e l’abiura di ogni slancio cattocomunista hanno funzionato come una cura cortisonica: la malattia è rimasta, ma la pelle non brucia più.

E così ci si ritrova con “il più grande partito di opposizione”, il PD, che alle elezioni liguri supera il 28% dei voti espressi (ma convince solo il 12% del corpo elettorale, contando l’astensione) e il partito di maggioranza e di governo, Fratelli d’Italia, che ne convince uno su venti. Ma a chi importa?

Quando Elly Schlein ha dichiarato in tv di essere “un’aspirante regista che molto probabilmente aspirerà per tutta la vita” avrebbe dovuto spiegare anche quale film vorrebbe portare in sala. Perché ormai è chiaro: nel cinema Italia il pubblico è sempre più raro ma, che se ne accorga o no, il biglietto lo paga ugualmente.


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