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Il 7 ottobre palestinese è un giornalisticidio: 167 giornalisti uccisi, 62 arrestati, 88 uffici distrutti

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(Parigi). Mentre nel mondo vanno in scena le celebrazioni per il massacro di Hamas in Israele, noi siamo qui a celebrare un eccidio senza nome, un massacro che ha fatto fino ad oggi poco rumore, la più grande mattanza di giornalisti mai documentata nella storia: dal 7 ottobre 2023 ad oggi Israele ha ucciso a sangue freddo 167 giornalisti e giornaliste ed ha catturato ed arrestato oltre 124 giornalisti. L’ultimo arresto in ordine di tempo è quello del giornalista Jihad Al-Badawi che è stato prelevato dalle forze di occupazione israeliane nel campo di Al-Aroub mentre attraversava una delle barriere a nord di Betlemme. Con l’arresto del collega Al-Badawi il numero dei giornalisti arrestati nelle carceri di occupazione dal 7 ottobre è aumentato a 62 giornalisti ancora in custodia. Secondo la Federazione Internazionale dei Giornalisti almeno 500 giornalisti sono stati evacuati nella Striscia di Gaza dall’inizio delle ostilità, un numero impressionante che dimostra la volontà israeliana d’imbavagliare i giornalisti palestinesi facendoli tacere per sempre, affinché non documentino gli orrori di Tsahal.

 

Il silenzio delle istituzioni europee e dei governi occidentali è colpevole mentre Gaza è ormai una landa desolata e rasa al suolo dai bombardamenti a tappeto israeliani – effettuati anche con l’uso di bombe al fosforo bianco, droni intelligenti e programmi militari criminali che si avvalgono dell’intelligenza artificiale per moltiplicare il numero di obbiettivi – con i tank che hanno raso al suolo interi qurtieri distruggendo la vita di milioni di persone, una terra martoriata con gravi problemi umanitari, di scarsità di cibo ed acqua, malattie mentre anche a Beirut vengono rasi al suolo interi quartieri del sud della capitale. In questo contesto continua dunque la mattanza dei giornalisti che cercano disperatamente di fare il proprio mestiere ma sono impossibilitati a farlo. Bombe, agguati, missili contro penne e intelligenza. Morte e desolazione contro volontà di informare. Siamo senza ombra di dubbio nel periodo più buio per la stampa da diversi anni a questa parte. I giornalisti vengono liquidati non solo quando escono e girano per documentare i bombardamenti indiscriminati e le azioni militari più brutali dell’esercito israeliano a danno dei civili ma anche quando tornano a casa loro, quando si rifugiano coi familiari, quando cercano una parvenza di vita con i propri cari dopo aver documentato le atrocità quotidiane a Gaza. Il quadro che narriamo qui è spaventoso: cronisti e fotoreporter palestinesi da un anno a questa parte sono caduti sotto le bombe, nelle proprie case, nei propri letti mentre dormivano o a tavola mentre erano a pranzo con la propria famiglia, ugualmente sterminata in questo genocidio che non fa rumore. Tsahal li ha assassinati uno ad uno come se fossero pericolosi criminali. Il giubbotto antiproiettile con scritto “PRESS” avrebbero dovuto risparmiarli ed invece li ha resi un obbiettivo militare prioritario. Far tacere la stampa indipendente palestinese era il primo obbiettivo israeliano E dal cuore dell ostilità ora l’eccidio si sposta anche a Ramallah dove sono continui gli arresti, i ferimenti, gli oltraggi e le violenze a danno dei cronisti che documentano le atrocità d’Israele nei Territori Occupati.

 

“Che cessino immediatamente i crimini di guerra contro i giornalisti palestinesi a Ramallah”. Il Sindacato dei giornalisti palestinesi, in una dichiarazione la settimana scorsa, ha chiesto la più ampia copertura dei media internazionali alle attività di denuncia dei crimini dell’occupazione contro i giornalisti palestinesi. “Costituendo un precedente criminale che è il più brutto e il più grande nella storia dei media nel mondo, le forze di occupazione israeliane hanno continuato, per un anno intero e dall’ottobre dello scorso anno, a portare avanti il massacro e la guerra di sterminio contro i media palestinesi uccidendo sistematicamente i giornalisti palestinesi, prendendo di mira e distruggendo le loro istituzioni mediatiche. Le attrezzature di lavoro giornalistico sono diventate tutte una forma di crimine, e i giornalisti palestinesi stanno affrontando, da un anno, una una guerra globale e criminale che non è avvenuta né nella Prima né nella Seconda Guerra Mondiale, né nella guerra del Vietnam, né in quella dell’Ucraina”.

 

Il Sindacato dei giornalisti palestinesi ha chiesto alla Corte Penale Internazionale e agli organismi internazionali di assumersi le proprie responsabilità perseguendo i leader dell’occupazione per i loro crimini contro i giornalisti.  Come infatti non vedere dietro questi omicidi mirati, queste minacce di morte e questa pressione insostenibile contro la stampa palestinese una volontà precisa, quella di far tacere a tutti i costi i testimoni di crimini di guerra e di flagranti violazioni dei diritti dell’uomo? Noi giornalisti celebriamo dunque il 7 ottobre palestinese con un neologismo che io stesso ho coniato e che rende l’idea di quello che stia accadendo in Medio Oriente: un gigantesco “giornalisticidio”, una delle più grandi operazioni di censura contro la stampa mai ordite da uno stato in guerra.


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