ENI fa causa per diffamazione a Greenpeace Italia e Recommon. Le organizzazioni: “Non ci faremo intimidire”

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La crisi climatica, anche in Italia, è ormai purtroppo diventata una drammatica quotidianità. Alluvioni sempre più frequenti e devastanti, come successo poche settimane fa in Emilia-Romagna e nelle Marche. Ondate di calore che, per settimane, hanno letteralmente cotto a fuoco lento gran parte del Paese. Siccità infernali che nel Sud durano da quasi un anno, con invasi praticamente agli sgoccioli in alcune aree della Sicilia, della Basilicata e della Puglia. Come ricorda il WWF analizzando dati dell’osservatorio ANBI, tra gennaio e metà settembre in Italia si sono verificati 1.899 eventi estremi, di cui 212 tornado, 1.023 nubifragi e 664 grandinate con chicchi di grandi dimensioni, fino a 9 cm di diametro in Versilia.

Eppure, nel nostro Paese assistiamo anche all’incredibile paradosso che la lotta al riscaldamento globale sta diventando pericolosa per la società civile, la comunità scientifica e chiunque cerchi di denunciare le responsabilità dietro il collasso climatico che colpisce le nostre vite.

Le intimidazioni legali per zittire il dissenso

Gli spazi democratici per questo tipo di denunce si stanno infatti restringendo sempre più: dai decreti governativi contro le proteste nonviolente, alle censure mediatiche nei confronti della comunità scientifica o della società civile. Per arrivare a una delle strategie legali preferite dalle compagnie dell’oil&gas come ENI, ovvero le cause intimidatorie nei confronti di chi denuncia il ruolo da assolute protagoniste in negativo che queste aziende rivestono da decenni nel causare i cambiamenti climatici.

Queste cause sono note come SLAPP (Strategic Lawsuit Against Public Participation, ovvero cause strategiche contro la pubblica partecipazione). Spesso basate su accuse infondate, vengono intentate da grandi poteri per scoraggiare la protesta pubblica, costringendo chi le subisce a spendere tempo e risorse per difendersi invece di continuare nell’opera di denuncia. In altre parole, si tratta di uno stratagemma ormai ben collaudato per soffocare sul nascere ogni critica e ogni forma di protesta.

In Italia, ENI ricorre spesso a questo espediente legale per zittire il dissenso o le critiche nei suoi confronti. Negli ultimi anni, diversi soggetti si sono mostrati critici nei confronti dell’azienda, ricevendo in cambio intimidazioni legali. È successo a giornali (Fatto Quotidiano, Domani) e a singoli giornalisti. E, novità delle ultime ore, a queste realtà il Cane a sei zampe ha deciso di aggiungere anche organizzazioni della società civile.

L’accusa di diffamazione di ENI nei confronti di Greenpeace Italia e Recommon

È stato notificato negli scorsi giorni da parte di ENI l’atto di citazione per presunta diffamazione che l’azienda del gas e del petrolio aveva prospettato in due occasioni, avviando nei mesi scorsi degli iter di mediazione, nei confronti di Greenpeace Italia e ReCommon. Secondo l’azienda fossile per eccellenza in Italia, le due organizzazioni avrebbero avrebbero messo in piedi “una campagna d’odio” nei confronti dell’azienda. 

Tra le altre cose, ENI contesta ad esempio a Greenpeace Italia di aver pubblicato un rapporto che, basandosi su un modello accettato dalla comunità scientifica, dimostra come, prendendo in considerazione soltanto le emissioni di gas climalteranti del 2022, le nove grandi aziende europee del settore dell’oil&gas analizzate (Shell, TotalEnergies, BP, Equinor, ENI, Repsol, OMV, Orlen, e Wintershall Dea) si renderebbero responsabili di 360 mila decessi prematuri entro il 2100. Le morti premature stimate imputabili a ENI sarebbero pari a 27 mila. Pubblicare dati scientifici e attribuire responsabilità per una delle più grandi crisi contemporanee, come quella climatica, sarebbe dunque per ENI mettere in piedi una campagna d’odio.

Una minaccia per valori fondamentali della nostra società

Chiariamo una cosa: questa è una minaccia per noi solo perché siamo una minaccia esistenziale per loro. La citazione in giudizio di ENI nei confronti di Greenpeace Italia e ReCommon è solo un chiaro tentativo di distogliere l’attenzione dalla causa climatica che le due organizzazioni hanno intentato più di un anno fa nei confronti dell’azienda, insieme a cittadine e cittadini italiani. L’azienda, con questa mossa, ha deciso di reagire scompostamente, provando a buttare la palla in tribuna per distrarre ancora una volta, con l’ennesimo espediente narrativo, l’attenzione dal suo chiaro e dimostrato contributo alla crisi climatica in corso.

ENI lo aveva già fatto nelle memorie difensive depositate nell’ambito della Giusta Causa, che mettono in discussione l’ammissibilità della stessa causa da parte di qualsiasi tribunale italiano e quindi la necessità per l’azienda di difendersi in tribunale nel merito delle accuse mosse da Greenpeace Italia e ReCommon, tutte supportate da rigorose basi scientifiche.

Cercando di reprimere le denunce o le proteste a tutela del clima, le aziende fossili come ENI non solo ci stanno spingendo più a fondo nella crisi ambientale, ma stanno anche minacciando valori fondamentali della nostra società come la democrazia, la libertà di parola e il diritto a un pianeta vivibile.

Nonostante queste intimidazioni legali, la determinazione di chi come noi difende il pianeta resta più forte che mai. Continueremo a mobilitare le persone, sfidare i governi e rivelare la verità. E insieme, possiamo mandare un messaggio chiaro a ENI e alle altre compagnie fossili: il futuro appartiene a chi protegge le comunità, non a chi le distrugge.

Questa lotta non è solo per chi fa attivismo, ma per chiunque ami questo pianeta, la nostra casa comune. È una battaglia per l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo, e per la sicurezza nostra e delle persone a cui vogliamo bene.

Non ci fermeremo. Con ancora più forza e determinazione, continueremo a difendere il clima, il nostro presente e il nostro futuro.
(Foto Greenpeace)

 


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