Depistaggi e oscuramenti, chi non vuole la verità sul delitto Attanasio?

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Luci e ombre continuano ad alternarsi sull’uccisione dell’ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo Luca Attanasio, vittima di un’imboscata il 22 febbraio del 2021 insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista del World Food Programme Mustapha Milambo.
Mentre in Italia un gruppo di parlamentari si appresta a formalizzare la richiesta di una commissione d’inchiesta sull’agguato al convoglio del Wfp, nella regione del Nord Kivu, a Kinshasa emergono nuovi fatti oscuri sull’operato di ex dipendenti dell’ambasciata.
In particolare un tentativo di corruzione legato alla gestione delle risorse economiche della sede diplomatica italiana.
Le dichiarazioni di una dipendente dell’ambasciata, suffragate dalla testimonianza di un imprenditore italo congolese (il quale aveva già fatto rivelazioni a L’Espresso su un presunto giro di visti facili) rivelano dettagli sconcertanti riguardo a una permuta immobiliare. Il buon esito dell’operazione sarebbe stato “garantito” a fronte del pagamento di una “mazzetta” per l’avvio della procedura che doveva portare all’acquisizione dell’immobile da utilizzare come nuova ambasciata.
L’iter, rimasto in sospeso dopo la morte di Attanasio, è stato bloccato dall’ambasciatore Alberto Petrangeli, suo successore.
Il diplomatico ucciso non aveva mai dato l’ok definitivo.
Ufficialmente la decisione è scaturita dalla valutazione che la struttura non fosse idonea ma a Kinshasa tutti erano al corrente degli interessi personali e delle connessioni discutibili di chi voleva portare avanti quell’affare.
L’inchiesta sul triplice omicidio potrebbe quindi indirizzarsi su possibili pratiche illegali,  messe in atto in passato intorno e dentro al consolato italiano.
La recente nomina a nuovo ambasciatore in Congo di Sabato Franco Sorrentino, in precedenza a Londra come primo consigliere e direttore esecutivo aggiunto presso la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, potrebbe rivelarsi cruciale. Sarebbe quanto meno auspicabile, ora che il diplomatico ha ricevuto il gradimento dal governo congolese, una maggiore chiarezza su fatti che gettano ulteriori ombre sulla drammatica fine di Attanasio, Iacovacci e Milambo.
Ma molti rimangono scettici.
Dario Iacovacci, fratello del carabiniere ucciso, solleva preoccupazioni sul fatto che le indagini non stiano procedendo nel modo giusto.
“La domanda da porsi è: il nuovo ambasciatore farà qualcosa per compiere passi avanti sulla verità?” dice a L’Espresso invocando un impegno più deciso anche da parte dell’Arma dei Carabinieri  e del ministero della Difesa.
La sua richiesta è molto chiara: “Bisogna fare piena luce su una missione su cui erano già emerse in precedenza alcune irregolarità. Ricordo una conversazione preoccupante avuta con mio fratello poche ore prima dell’agguato. Vittorio aveva notato un’eccessiva agitazione e una situazione non chiara nelle operazioni del Wfp, avvertendo la presenza di alcune criticità che non lo convincevano”.
Elementi importanti che aggiungono ulteriore mistero sulla dinamica dell’attacco e sugli eventi che hanno preceduto la tragedia.
Intanto, nel contesto di un processo in appello contro i presunti esecutori del triplice delitto in corso a Kinshasa, gli avvocati degli imputati hanno messo nuovamente in discussione la colpevolezza dei loro assistiti. I legali affermano che le cinque persone detenute, tutte congolesi, sono innocenti.
La sentenza di primo grado, emessa lo scorso 7 aprile, aveva inflitto l’ergastolo ai presunti killer e imposto un risarcimento di 2 milioni di dollari all’Italia.
Una sentenza che non ha mai convinto né Iacovacci né il padre dell’ambasciatore, Salvatore Attanasio, il quale continua a non credere alla tesi del tentativo di sequestro finito male.
Il processo ha evidenziato una serie di irregolarità e omissioni. Gli imputati, che avevano confessato in un primo momento di essere gli esecutori del delitto, hanno successivamente ritrattato sostenendo di essere stati costretti a farlo sotto tortura.
Le dichiarazioni della difesa, che ha chiesto l’assoluzione per i cinque in carcere, un sesto imputato è contumace, si sono scontrati con la volontà della Corte di confermare la sentenza emessa in primo grado.
Mentre si cerca di stabilire la verità su un attacco che ha colpito un ambasciatore nel pieno delle sue funzioni, i nuovi fatti emersi su tentativi di corruzione e irregolarità di ex dipendenti della sede diplomatica italiana acquisiscono sempre maggior peso. Soprattutto dopo la vicenda del rilascio anomalo di visti svelato dall’inchiesta de L’Espresso che ha portato a un’ispezione del ministero degli Esteri e alla chiusura del relativo ufficio al consolato italiano, al richiamo di un funzionario indagato, ormai ex dipendente della Farnesina, e all’apertura di un fascicolo a seguito di un esposto del parlamentare di Fratelli d’Italia Andrea Di Giuseppe.
“Dopo la visita degli ispettori sono scattati i provvedimenti, due contrattisti sono stati licenziati e il funzionario fatto rientrare e  pre pensionato. Ovviamente questo dal lato amministrativo. Poi c’è la parte penale che prosegue ma lì c’è di mezzo la magistratura” sottolinea Di Giuseppe.
La verità sull’omicidio di Attanasio, Iacovacci e Milambo appare dunque ancora lontana.
I familiari delle vittime, così come l’opinione pubblica italiana, attendono segnali di un cambiamento.
La speranza è che la nuova leadership diplomatica in Congo possa imprimere una svolta e fornire, finalmente, risposte a domande che perdurano da troppo tempo. Come affermato dallo stesso Salvatore Attanasio: “Noi aspettiamo ancora la verità e non smetteremo di batterci per ottenerla”.
Il papà del diplomatico italiano, assistito dall’avvocato Rocco Curcio, si riferisce in modo particolare alla perizia di parte depositata lo scorso gennaio al Tribunale di Roma sulla dinamica della sparatoria in cui persero la vita l’ambasciatore e il carabiniere che gli faceva da scorta (l’autista era stato ucciso al momento dell’imboscata). Dai rilievi balistici dei consulenti della famiglia Attanasio, emerge che non si trattò di un incidente ma di un’esecuzione.
Fonte L’Espresso

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