Caso Albania, una sceneggiata per raccogliere consenso popolare

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Risale al 15 ottobre il primo provvedimento con cui un tribunale italiano, quello di Catania, ha ritenuto di non convalidare il trattenimento di un migrante, in applicazione della sentenza della Corte di giustizia europea  del 4 ottobre 2024 (caso C-406/22), secondo la quale un Paese non può essere considerato sicuro (e dunque non si può procedere al rimpatrio forzato) se vi sono conflitti in atto, oppure situazioni di persecuzione, tortura, mancato rispetto dei diritti umani, anche in una sola parte del territorio, o a carico di una categoria determinata di persone. La consapevolezza della problematica era nota, dunque, ben prima del 18 ottobre, giorno in cui, a seguito dei pronunciamenti dei giudici di Roma di mancata convalida di trattenimento dei migranti trasferiti in Albania, sono scoppiate polemiche e attacchi pesantissimi contro i giudici italiani, colpevoli secondo il governo (e la stampa più allineata) di remare contro l’Italia. Per quale motivo dal 15 al 18 ottobre nessuno ha mai sollevato la questione, polemizzato contro il tribunale di Catania o gridato al complotto contro il governo? Come mai dal 4 ottobre, data della sentenza della Corte di giustizia, si è atteso il 21 ottobre per affrontare una questione considerata di primario rilievo nazionale e decidere in tutta urgenza di approvare un decreto legge che, secondo gli annunci dovrebbe risolvere la questione? I silenzi succedutisi dal 4 ottobre in poi, fanno sospettare che non sia del tutto casuale la scelta del momento in cui scatenare le polemiche e gli attacchi contro la mancata convalida dei trattenimenti. Attorno al centro per migranti realizzato in Albania è stata costruita una narrazione accurata: l’operazione è stata descritta come risolutiva per arginare l’invasione dei migranti, e il primo trasferimento, iniziato il 12 ottobre, è avvenuto con una grancassa mediatica (a fronte del trasferimento di soli 16 migranti, poi ridotti a 12…). Il governo sapeva della sentenza della Corte di giustizia europea del 4 ottobre: ciò nonostante ha atteso i provvedimenti dei giudici romani del 18 ottobre per costruire un caso attraverso il quale alimentare presso l’opinione pubblica il costante clima di “emergenza invasione”, e denunciare chi starebbe remando contro l’Italia, opponendosi alle iniziative con cui si offre soluzione al problema. Il tutto condito dall’ennesimo attacco alla magistratura, indicata come pregiudizialmente contraria al governo. Il tema migranti, non a caso, suscita reazioni emotive e cavalcarlo paga (almeno sul fronte elettorale) in quanto consente di raccogliere un facile e consistente consenso popolare, a prezzo di un crescente clima di odio e risentimento nei confronti degli stranieri, clandestini e invasori e di sfiducia verso la magistratura. Che l’immigrazione senza controlli costituisca un problema è innegabile. Ma governarla a suon di slogan di facile comprensione e forte impatto emotivo serve soltanto a conquistare qualche voto in più, non a trovare soluzioni praticabili. Soluzioni che non possono che passare attraverso il rispetto dei diritti umani. Quanto al decreto legge varato il 21 ottobre dal Consiglio dei ministri, secondo autorevoli giuristi, non risolverà proprio nulla, considerato che, quando in contrasto con direttive Ue e sentenze della Corte di Giustizia, la disapplicazione delle norme nazionali vale anche nel caso di leggi (e non solo nei confronti di norme amministrativa, come per il precedente decreto ministeriale che fissava gli Stati ritenuti sicuri). La strada scelta dal governo aprirà la strada ad un ricorso alla Corte costituzionale, che sarà quasi certamente coinvolta dai giudici italiani, per dirimere la delicata questione, quando si riporrà il prossimo caso di convalida di un trattenimento. Per cercare di meglio comprendere cosa è accaduto, è necessario inquadrare il caso in maniera dettagliata.
PROTEZIONE INTERNAZIONALE
Le richieste di asilo prevedono una complessa procedura. L’iter seguito per i migranti trasferiti in Albania è quella accelerata (regolata dall’articolo 28 bis, comma 2 e 2 bis D.Lgs 25/2008), prevista per quando i richiedenti  provengono da Paesi di origine sicura: la procedura può essere svolta direttamente alla frontiera o nelle zone di transito e la Commissione territoriale decide nel termine di sette giorni dalla ricezione della domanda. La decisione della Commissione può essere poi impugnata di fronte al tribunale. Il trattenimento per consentire lo svolgimento della procedura accelerata è regolato dall’articolo 6 bis D.Lgs 142 /2015, ed è soggetto a convalida del giudice.
PAESI SICURI
L’Ue sta lavorando alla predisposizione di un elenco dei Paesi da considerare sicuri che valga per tutta Europa. Nel frattempo ogni Stato provvede per conto suo. L’Italia finora lo ha fatto attraverso decreti ministeriali. Con il decreto del 7 maggio 2024 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 105 (GU Serie Generale n.105 del 07-05-2024), il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, di concerto con il Ministero dell’Interno e quello della Giustizia, ha emanato l’atto di aggiornamento periodico della lista dei Paesi di origine sicuri per i richiedenti protezione internazionale di cui all’art. 2-bis del D.lsg. 25/2008, in base alla quale poter rimpatriare i migranti a cui non viene concesso asilo. Fino a pochi anni fa il ministero elencava 13 Stati ritenuti sicuri, ovvero nei quali i migranti rimpatriati non rischiano di essere perseguitati o uccisi; dallo scorso maggio il numero è lievitato a 22. (Ciascuno di noi può valutare se tale aumento rifletta l’effettiva situazione di un mondo con meno guerre e situazioni di tensione in atto, oppure la necessità di poter rispedire a casa loro un numero più consistente di persone). Nel decreto sono citate (ma non allegate) le schede relative agli Stati indicati come sicuri: Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Camerun, Capo Verde, Colombia, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia.
https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2024/05/07/24A02369/sg

Con il decreto legge varato dal Consiglio dei ministri il 21 ottobre, il numero dei Paesi ritenuti sicuri è stato ridotto a 19: sono stati esclusi Colombia, Camerun e Nigeria.

LE SCHEDE MINISTERIALI
L’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) ha esercitato un’azione di accesso civico ed è riuscita ad ottenere copia delle schede (in parte omissate) da cui risulta che nei confronti di 15 Stati su 22, sono indicate criticità, in base alle quali quei Paesi vengono definiti parzialmente insicuri dallo stesso ministero, anche in relazione alla situazione in atto in alcune parti del loro territorio. Valutazioni stilate in base a rapporti redatti da organismi internazionali, tra cui l’Onu, che segnalano violazioni dei diritti dell’uomo, come torture e persecuzioni di oppositori. Nei provvedimenti contestati dal governo, i giudici si sono attenuti alle valutazioni del ministero sulla sicurezza dei vari Paesi per decidere di non convalidare i trattenimenti di migranti provenienti da Bangladesh ed Egitto (in relazione al quale conosciamo bene il caso Regeni) e Nigeria.
https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/accesso-civico-asgi-le-schede-dei-paesi-di-origine-sicuri-2/

CORTE DI GIUSTIZIA
La sentenza della Corte di giustizia europea dello scorso 4 ottobre, decidendo nella causa C-406/22 (relativa al caso di un moldavo che la repubblica Ceca vuole rispedire a casa) ha stabilito che “i criteri che consentono di designare un Paese terzo come Paese di origine sicuro devono essere rispettati in tutto il suo territorio”. In sostanza la Corte afferma che un Paese, per essere definito sicuro, lo deve essere dappertutto, e senza deroghe, perché soltanto così il migrante rimpatriato non rischia di essere torturato, perseguitato o ucciso. E ha precisato che spetta al giudice nazionale valutare se si concretizzino le condizioni per ritenere sicuro lo Stato in questione. Al punto 68 della sentenza emessa dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia si legge che “la designazione di un paese come paese di origine sicuro dipende, come ricordato al punto 52 della presente sentenza, dalla possibilità di dimostrare che, in modo generale e uniforme, non si ricorre mai alla persecuzione quale definita all’articolo 9 della direttiva2011/95, tortura o pene o trattamenti inumani o degradanti e che non vi sia alcuna minaccia dovuta alla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato internazionale o interno”. E al punto 69: “Le condizioni stabilite in tale allegato devono essere rispettate in tutto il territorio del paese terzo interessato affinché quest’ultimo sia designato come paese di origine sicuro”.
https://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?docid=290680&mode=req&pageIndex=1&dir=&occ=first&part=1&text=&doclang=FR&cid=4920383

L’UNIONE DELLE CAMERE PENALI
L’Unione delle Camere penali, in un comunicato diramato il 20 ottobre, ha definito “senza fondamento tecnico” la polemica scatenata dalla politica contro i giudici romani che non hanno convalidato il trattenimento dei 12 migranti trasferiti in Albania. L’organizzazione che riunisce gli avvocati penalisti auspica che “l’Europa detti regole chiare e condivise stabilendo quale Paese possa considerarsi sicuro e quale no, anziché delegare agli Stati membri tale compito e quindi delegare al giudice dello stesso Stato il controllo sulla legittimità dell’esercizio di tale potere.
Non si tratta di questione che possa essere risolta dal Governo per decreto – si legge nella nota dell’Unione delle Camere penali – e sarebbe invece opportuno che la politica si riappropriasse correttamente del proprio ruolo, richiamando alle sue responsabilità l’Europa, senza perdere di vista la tutela dei diritti fondamentali della persona”.

Gianluca Amadori è coordinatore Gruppo Informazione e Giustizia del Consiglio nazionale Ordine dei giornalisti


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