C’è un giornalista che si muove controvento nel racconto della migrazione nel Mediterraneo. E’ Sergio Scandura, corrispondente di Radio Radicale con due piedi nella sua Sicilia e occhi ovunque nel mare che ci divide dall’Africa, occhi cui non sfugge nulla e che non si lasciano tradire dai dati, incompleti, del Ministero dell’Interno sugli sbarchi.
Questa conversazione risale a poche ore prima dell’agguato mortale a Bidja , l’ufficiale della Marina libica, che in realtà si chiama Abd al-Rahman Milad ma che con quel nomignolo era conosciuto come un trafficante di esseri umani. Scandura, per esempio, è uno di quelli, insieme a pochi altri, come Nello Scavo, Angela Caponnetto, Nancy Porsia, che alla storia della collaborazione internazionale contro i trafficanti non ci credono. Perché è esistito Bidja a dimostrare che è tutta un’altra storia.
I colleghi europei scrivono che tu sei l’unico rimasto a guardia della tragedia dei morti in mare…
“Vero solo in parte, perché ci sono altri giornalisti che documentano ogni giorno gli sbarchi, i numeri reali dei morti e dei rifugiati. Forse io faccio un altro tipo di lavoro rispetto agli altri. Ho dovuto mettere mano a strumenti di tracciamento eccetera, faccio il lavoro Osint . Piuttosto direi che siamo davvero troppo pochi a riferire fatti e dati. Avvengono cose quaggiù, naufragi, morti, sbarchi spericolati di cui non troviamo traccia sui siti, in tv, sui giornali, a parte, ripeto, rare eccezioni. Quindi l’opinione pubblica non ha contezza di ciò che sta accadendo e crede che gli sbarchi siano diminuiti. Oppure crede alla storiella che le Ong favoriscono i trafficanti poiché salvano persone alla deriva”.
Invece…
“Invece è la narrazione che passa nei talk e nei giornali, soprattutto di destra, per demonizzare le Ong e ancor più per evitare di dire qual è l’entità vera degli arrivi di persone dall’Africa, dalla Turchia, dalla Siria, oppure per non dire che la guardia costiera libica sfora il confine delle acque internazionali e riporta indietro, sulla propria costa, gente che stava praticamente nelle acque non libiche. I dati reali dei salvataggi e degli sbarchi il nostro Ministero dell’Interno ce li ha perché tutte le forze che pattugliano il mare li comunicano, ma sono dati non divulgati, né accessibili. I migranti vengono salvati da Guardia Costiera, Finanza… Ma se chiami il centralino o chiami le Prefetture loro non ti dicono nulla, ti rimandano al comando generale e lì si blocca tutto”.
Tu spesso hai dati più precisi di quelli ufficiali, che lavoro è quello di una ricostruzione fatta in questo modo?
“E’ l’unico lavoro possibile nelle condizioni date. Devo dire che alcune Prefetture, come quella di Reggio Calabria, sono più attente e disponibili, per il resto si tratta di incrociate i numeri dei morti o degli sbarchi. Io ho le mie fonti che ringrazio sempre, ma loro rischiano di brutto per me, per noi, per l’informazione. Certe volte sono stanco e non è solo per questa estate dura e caldissima, ma perché sembra una lotta senza fine contro chi non vuole che si abbia una fotografia precisa di ciò che sta accadendo nel Mediterraneo. Sarebbe un’immagine scomoda per molti”.
In certi ambienti militari e politici quando sentono il nome di Scandura cala il buio…
“Lo so. Io però resto attaccato al mio faro primario: i dati. Perché se non conosci i numeri non puoi avere idea del fenomeno e non puoi raccontarlo agli altri. Secondo me noi giornalisti dovremmo evitare di stare sottovento. Penso che dovremmo pretendere che siano date informazioni certe, che si adempia ai dettami del decreto Sar e che non ci si prenda in giro ogni volta. Più che altro quando leggono le cose che pubblico viene loro un brivido alla schiena, perché spesso in molti naufragi seri io riesco a dare i dati in prima battuta e quindi sono costretti a rimediare. Ma la toppa è peggiore del buco, fanno comunicati stampa non esaustivi ma a quel punto escono, finalmente, qualche dichiarazione e un po’ di comunicati stampa. Ovviamente è nulla rispetto al Bayesian, su cui abbiamo avuto immagini comunicati stampa, addirittura più di un comunicato al giorno”.
Un decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 2021 prevede che la Guardia Costiera Italiana è tenuta a fornire agli organi di stampa una informazione “rapida, obiettiva ed uniforme” notizie date con “tempestività, regolarità” pure “accurate, complete e coerenti”. Norma bellamente ignorata. Sergio Scandura è uno di quelli che, semplicemente, lo fa notare ogni volta che quel tipo di comunicazione non avviene e succede assai spesso.
Ma c’è anche dell’altro. Con un meticoloso lavoro di ricostruzione, il primo settembre Scandura ha tracciato l’attività di uno dei pattugliatori consegnati dall’Italia alla Tunisia nell’ambito degli accordi in cui è intervenuta anche l’Unione Europea. L’inchiesta è stata pubblicata anche sul sito di Cesdis (centro studi su diritti, informazione e solidarietà) e dimostra l’esistenza di “una significativa attività dentro la nuova area Sar tunisina, fuori dalle acque nazionali tunisine nell’intero mese di agosto”. In pratica nella nuova zona Sar tunisina avvengono respingimenti collettivi con finanziamenti italiani.
Che cosa stiamo pagando e finanziando? Ed è davvero ancora possibile accettare dati ufficiali incompleti se non fuorvianti? Il buio dell’informazione (tranne poche eccezioni) sul Mediterraneo è pari al buio sulle guerre perché anche lì, in fondo, si sta consumando una guerra.
(Nella foto Sergio Scadura, corrispondente di Radio Radicale)