Care professoresse, cari professori,
non ci riteniamo due esperti di scuola, e questa è una premessa doverosa per evitare di assumere quell’atteggiamento saccente che può generare tanti equivoci e altrettante reazioni sbagliate. Siamo un giornalista e un’avvocatessa che tuttavia, per lavoro e per passione, si sono occupati spesso di ciò che accade nel mondo dell’istruzione: i tanti aspetti positivi e anche quelli negativi, a cominciare dal rapporto conflittuale che è venuto a crearsi con le nuove tecnologie. Non è di questo, però, che vogliamo parlarvi. La ragione di questa nostra lettera a cuore aperto non è analizzare i lati oscuri di ChatGPT e dell’intelligenza artificiale né interrogarci su quale approccio si debba avere bei confronti dei social e della rete. Sono temi che animano molte delle nostre riflessioni, e se vorrete approfondirli insieme a noi, e magari insegnarci qualcosa, ne saremo felici, ma non è neanche questo l’argomento che vogliamo affrontare. Il punto è che questa generazione è infelice. Ed è infelice perché non si conosce o, quando anche si conosce, non è in grado di esprimersi. Se ciò accade, permetteteci di farvelo presente, è anche perché troppe volte, a scuola, non è messa nelle condizioni di parlare di sé. Si torni, dunque, ai temi. Basta con le crocette, le analisi del testo, i saggi brevi e tutto l’armamentario che vediamo ogni anno all’opera agli esami di Maturità.
Cari docenti,
a sedici anni bisogna sognare! A sedici anni si vuole mordere la vita, non scendere a compromessi. Va bene guidarli, prenderli per mano, porli a conoscenza dei rischi che una società sempre più complessa e articolata comporta; va bene chiedere loro di studiare, di conoscere e di capire; va bene tutto, ma a quell’età hanno il diritto, anzi il dovere, di essere contestatori e anti-sistema.
Questa generazione, priva di spazi, di luoghi e di tutto ciò che noi siamo stati gli ultimi ad avere avuto la fortuna di incontrare lungo il nostro cammino, ha bisogno di ripartire da se stessa. Ha bisogno di scrivere delle proprie passioni, dei propri sogni, dei propri amori, delle proprie speranze, delle proprie vacanze, delle proprie delusioni, della propria rabbia, della paura per la fine del mondo, della crisi climatica che le genera ansia, delle prime manifestazioni cui partecipa, di cosa prova quando si guarda allo specchio; insomma, ha bisogno di sentimenti, di profondità, di meraviglia e persino di dolore: quella sofferenza autentica che ti cambia la vita, che ti costringe a fare i conti con i tuoi demoni e, proprio per questo, spesso ti salva.
Sappiate, inoltre, che scrivere di sé è l’impresa più ardua: lasciategliela compiere.
In conclusione, ci permettiamo di corredare questo piccolo appello con dei versi bellissimi, tratti da “Itaca” di Kostantinos Kavafis.
All’inizio recita:
“Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze”.
E termina così:
“E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare”.
Il viaggio, l’avventura, la vita. Ma prima di approdare nuovamente a Itaca, lasciate che attraversino il mare.
Roberto Bertoni
Iside Castagnola
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