Aveva quattro anni quando cadde il Muro di Berlino, cinque quando il PCI cambiò nome in PDS, sette quando scoppiò Tangentopoli. Quindi è cresciuta nell’ epoca di Silvio Berlusconi: non aveva neanche dieci anni nel 1994, l’anno della discesa in campo. “ Quegli anni hanno segnato la mia infanzia e la mia adolescenza. In tutto quel tempo non ho praticamente conosciuto niente di diverso che lo scontro tra il Cavaliere e un centrosinistra in cerca di identità e diviso, quasi sempre. In questo risiede il motivo della mia passione verso la politica ma della distanza con i partiti”. Ha la voce roca Elly Schlein, reduce dalla Fiom a Torino e da giorni, settimane, mesi di tour per l’ Italia a parlare con le persone, ascoltare voci, guardare negli occhi le parti sociali. Piazza Vittorio è gremita, moltissimi esponenti PD, rappresentanti di tutte le correnti, sindacalisti, tanta, tantissima stampa per la prima presentazione nazionale de “L’ imprevista” (Feltrinelli) il libro che è diventato un racconto e un viaggio, temporale ma anche fisico, visto che per mesi Susanna Turco ha viaggiato con la segretaria e tra Milano, Cutro, Venezia, ha annotato sul taccuino lacrime e pioggia, bisogni e speranze.
“L’impegno politico non è dipeso da un episodio particolare. Per la mia generazione occuparsi di politica è stata da principio una ribellione contro il berlusconismo. Quello che in fondo noi sentivamo — era un po’ la narrazione prevalente, e un po’ era anche vero — era una sinistra che non riusciva a contrastarlo efficacemente. Ecco la molla. Il mio impegno politico non è nato da un’ambizione personale, mai avrei detto che da grande avrei voluto fare la politica. È strano, perché so che in politica ci sono tanti che invece partono già con l’idea di arrivare da qualche parte, che hanno un obiettivo predefinito: per me non è mai stato così. Non mi pensavo come una front runner. Ho sempre fatto quello che in quel momento ritenevo giusto e utile fare rispetto a una comunità con la quale mi sono sempre mossa, e che poi via via si è allargata. Si è organizzato il pensiero nel tempo. Già nel 2013, nel Pd, facevamo la campagna per il salario minimo, per il reddito minimo, contro il consumo di suolo e la legge Bossi-Fini. Ritenevamo che il Pd dovesse cambiare per essere all’altezza delle aspettative della sua gente, che voleva un partito di sinistra che facesse le battaglie per la sanità, il lavoro, i diritti, l’ambiente. Temi che sono maturati nel corso degli anni, nello studio e nel lavoro in Europa, nella partecipazione alle mobilitazioni, nell’ascolto delle nuove generazioni, della società civile, delle associazioni, dei movimenti europei, soprattutto quello femminista e quello ambientalista, e nella consapevolezza della necessità di tenere insieme queste lotte a pari livello, oltre ogni confine. La nostra visione: una proposta politica che mancava in Italia, che fonde la questione sociale con la questione ambientale — perché sono inscindibili — e che ne trae un nuovo modello di sviluppo, per promuovere lavoro dignitoso e innovazione delle imprese”.
Eppure prima delle primarie in pochi conoscevano il suo nome, ancora meno avrebbero saputo scriverlo sulla scheda elettorale, allora dov’ era Elly Schlein prima di quel momento? “ Ero in basso, tra la gente in piazza, mescolata alle lavoratrici e ai lavoratori, ai precari, agli attivisti, ai volontari. In basso e a sinistra. La motivazione per correre alle primarie, guidare il Pd, è in linea con tutto questo percorso. Anche quando eravamo all’università, e quando poi ci siamo avvicinati alla politica, la questione in fondo era sempre quella: cercavamo la nostra casa. Sentivamo di non averne pienamente una. Capivamo che il Partito democratico era quel luogo che avremmo dovuto sentire come casa, ma per tante ragioni non lo sentivamo ancora così. E allora renderlo pienamente casa è sempre stato il vero scopo”.
Tradisce l’ emozione Elly Schlein quando racconta la fatica e lo sforzo collettivo, quel gioco di squadra che ha contribuito a riaccendere la speranza dopo il risultato europeo in tutti coloro che si erano allontanati dalla politica a sinistra e non ci credevano più: “Per questo ho scelto di compere un giro per l’ Italia ad ascoltare e raccogliere le delusioni di chi si è sentito tradito e sfiduciato e che crede che il suo voto non faccia più la differenza. La a ricucitura è un lavoro lungo, paziente, da fare con umiltà. E un lavoro che quasi mai viene raccontato”.
Nel libro racconta che a 20 anni all’ università a Bologna organizzava i cineforum perché voleva diventare regista cinematografica; racconta la sua esperienza nella campagna elettorale di Obama a 20 anni, affascinata da quel modo di fare politica; racconta di quando a Bologna la Sinistra Universitaria le impedì di parlare e fu lì che iniziò il suo impegno politico; racconta l’ azione di Occupy PD con le magliette “siamo più di 101”, battaglia che perse perché quel governo che non le piaceva proprio invece si fece; racconta l’ uscita dal PD nel periodo renziano, le critiche alla buona scuola e al jobs act, gli anni dell’ antipolitica: non è solo la sua storia, dice, ma la storia di tanti che ora vogliono rimettere al centro la vita delle persone.
La sua è un’ appartenenza multipla: nata in Svizzera ma italiana, cresciuta a Bologna da padre statunitense, cittadina del mondo ma anche dei piccoli paesi montani. Perché Elly è gelosa dei luoghi che ama e li abita tutti con la medesima curiosità. “ La storia dell’ appartenenza è fondamentale: tante famiglie italiane sono nate da intrecci, mescolanze, migrazioni. Come la mia. L’ appartenenza più piena l’ ho trovata nella politica, da quando nelle scuole pubbliche all’ estero crescevo in un contesto con ragazzi diversi da me, che fuggivano dall’ ex Jugoslavia, dalle dittature. Diversi ma con la stessa voglia e lo stesso impegno per i diritti di tutti. Siamo tutti storie miste. Non esistono studenti stranieri nelle scuole italiane. Chi nasce e cresce in Italia per me è italiano”.
Ricorda quando una sera a San Giovanni Persiceto in un ristorante incontrò Matteo Salvini e gli fece una domanda sulla rotta balcanica, ai tempi della crisi siriana, nell’ incapacità di 27 paesi europei di dare una risposta condivisa.
“Chiesi: ma voi che sembravate interessati al tema immigrazione, perché non vi siete mai presentati alle 22 riunioni sulla riforma degli accordi di Dublino? Divennero virali le immagini della sua reazione, disse che per quella domanda si senti aggredito”, le scappa un sorriso a pieni denti: “Non esiste stare dentro l’ Unione Europea senza assumersi anche delle responsabilità: chi arriva in Italia, entra in Europa”.
“La cultura per me è sempre stata una grande occasione di crescita personale e uno straordinario veicolo di inclusione. Mentre la furia ideologica delle destre che blocca il progresso, il mio criterio è il pluralismo, non il profitto. E la passione sfrenata per un’ Europa diversa, più integrata sulle politiche. Progressista, ecologista, femminista. Abbiamo il governo più a destra della storia repubblicana. Riprendiamoci la nostra identità: la questione sociale, i diritti, l’ inclusione. E riprendiamoci la nostra casa”.
E sul campo largo, dice; c’è ancora tanto da fare ma i risultati di giugno e luglio ci dicono che siamo sulla strada giusta. I punti sono la difesa sanità pubblica (gastroscopia è la parola più presente nel libro, scherza); la difesa della scuola pubblica come prima grande leva dell’ emancipazione delle persone; il lavoro e la grande autocritica necessaria sul passato del PD – la battaglia sul Salario minimo e per il rinnovo dei contratti ma anche la questione della sicurezza sul lavoro e delle politiche industriali per accompagnare la conversione ecologica; i diritti sociali e civili, la cittadinanza, le battaglie per la comunità lgbtqia+, i diritti delle donne”.
Ha occhi luminosi e non parla politichese Elly Schlein, in questa calda serata di fine estate romana: “Vi propongo un viaggio da fare insieme, un dialogo da affrontare. Se in questa che leggete trovate anche la vostra storia, venite a darci una mano: abbiamo bisogno anche di voi”.