Nel silenzio assordante di una Beirut straziata, le ombre dei sei palazzi distrutti dalle “bombe di profondità” di Israele danzano in un lugubre balletto di macerie.
La coltre della morte è calata su Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah. Ma quante vite, oltre la sua, giacciono sepolte sotto i resti di ciò che era?
Le notizie parlano di centinaia di uomini, donne e bambini, le loro esistenze ridotte a numeri, a statistiche in una guerra che non conosce pietà.
I bombardamenti continuano, incessanti, come il tamburo di una marcia funebre che segna l’inizio del declino di un’intera nazione.
Le truppe si muovono, pronte a calcare un terreno già impregnato di sangue e lacrime. In questa danza macabra, la guerra totale sembra già avviata; le sue fauci si aprono, pronte a inghiottire ogni segno di umanità rimasto.
Il mondo osserva, dividendo il suo sguardo tra il terrore e l’indifferenza. Alcuni tacciono attoniti, incapaci di cogliere l’orrore che si dispiega dinanzi ai loro occhi; altri, più cynici, si ergono come complici, chiusi nel loro silenzio complice. La giustizia sembra un miraggio astratto, mentre le grida di chi è rimasto in vita riecheggiano nell’aria, implorando attenzione.
Le strade di Beirut, un tempo brulicanti di vita, ora giacciono deserte, testimoni di un’umanità che crolla. I volti delle vittime si confondono tra le macerie: madri con i loro figli, padri che stringono al petto il sogno di un futuro mai realizzato. E così, ogni giorno, il bilancio delle vittime aumenta, inchiodato alla disperazione di chi lotta per sopravvivere.
La guerra, con la sua logica implacabile e disumana, diventa un ciclo senza fine, alimentata da odio e vendetta. E mentre il fumo si dirada, solo una domanda rimane sospesa nell’aria: quante vite saranno sacrificate ancora in nome di un potere che si nutre della sofferenza?
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