“All’amore più grande della mia vita” scriveva Martina nel dedicare due anni fa la sua tesi di laurea in giurisprudenza al padre Roberto Gleboni, agente forestale. E sognava una carriera da magistrato. Ieri quel padre amatissimo l’ha uccisa con un colpo di pistola alla testa così come ha fatto con la moglie Giuseppina, il figlio Francesco, di 10 anni, e il vicino di casa Paolo Sanna, di 69 anni, gli ultimi due morti nella notte. Feriti e forse si salveranno il figlio quattordicenne e la madre dell’uomo, 84enne. Solo alla fine della strage Roberto Gleboni ha deciso di mettere fine anche alla propria vita.
L’orrore per quanto accaduto è per ora assolutamente inspiegabile. Basti pensare che Martina e sua madre avevano accettato di dare la disponibilità delle proprie facce per la campagna di actionaid contro la violenza sulle donne. Sorridenti e determinate accennavano un sorriso che evidentemente derivava dalla loro vita serena.
Il male oscuro del padre aveva un solo aggancio: la passione per le armi. Aveva ottenuto un porto d’armi, ma ‘per uso sportivo’, di una calibro 7.65. Quella pistola è diventata uno strumento terribile che non ha risparmiato tutte le persone più care della sua vita, la sua famiglia e sua madre, oltre allo sfortunato vicino di casa incontrato su un pianerottolo dello stabile in cui abitava in affitto.
La terribile vicenda nuorese ripropone con assoluta urgenza il problema dell’educazione degli uomini al rispetto delle persone più amate, all’abbandono completo dell’idea di proprietà. Erano ‘cose sue’ la madre, i figli, la madre? Quanti uomini, fin dall’infanzia, crescono, o sono purtroppo allevati, nell’idea della proprietà esclusiva degli affetti? Evidentemente non bastano più neppure gli appelli come quello a cui hanno dato la loro adesione anche Martina e sua madre. L’azione più incisiva va rivolta agli uomini, e con la massima urgenza, pensando che forse siamo già ormai oltre il limite tollerabile.