Lo scontro tra il multimiliardario Elon Musk e la giustizia brasiliana che ha interdetto lo spazio del più vasto territorio dell’emisfero meridionale americano alla sua piattaforma digitale X (ex Twitter) è straripato in tensioni e attenzioni mondiali. Ha trovato spazio sulle prime pagine dell’informazione d’ogni continente e -c’è da credere- sui tavoli d’ogni cancelleria. Non si tratta infatti solo del forte contrasto tra una gigantesca potenza economico-industriale-finanziaria privata (auto elettriche, sistemi satellitari ad uso civile e militare, global-media, fondi d’investimento: uno stato gestito autoritariamente con criteri personali dall’interno del sistema Stati Uniti) e uno stato sovrano tradizionale. Inasprito inoltre dal protagonismo aggressivo e provocatorio dell’ormai quasi cinematografico western-tycoon. Contiene e tutti vi vedono simbolicamente riflesso il conflitto più spesso latente ma non perciò meno reale e concreto, tra le prerogative giuridiche delle istituzioni storiche nazionali e le straordinarie e crescenti capacità d’intervento globale che le nuove tecnologie conferiscono ad alcuni maxi-oligopoli privati.
Nella vicenda è intervenuto personalmente anche il capo dello stato Lula, esigendo rispetto per il suo paese. Senza dimenticare polemiche politiche e personali anche recenti tra i due. Ma tenendo conto soprattutto che tra un mese (il prossimo 6 ottobre) avverrà il rinnovo del governo municipale di San Paolo, la Milano del Brasile, la sua area urbana più popolosa (23 milioni di abitanti), la più sviluppata e prospera dell’intero emisfero meridionale. E indirettamente, ma attraverso X, sono già stati innumerevoli gli interventi nella campagna elettorale in favore dei candidati dell’ex presidente Jair Bolsonaro, personalmente ineleggibile per otto anni (fino al 2030), ma non per questo inattivo. Il Tribunale Federale Supremo (TFS, che con una maggioranza di 5 contro 2 dei sette giudici che lo compongono) lo ha condannato nel novembre scorso per una serie di reati compiuti nel corso del mandato presidenziale tra il 2019 e il 2022 e configurati come “abuso di potere”. Lo stesso presidente del TFS, Alexandre de Moraes, qualche settimana addietro aveva comminato a Musk la pronta nomina di un suo rappresentante legale in Brasile. Poiché lo stesso miliardario, a fronte di un’inchiesta giudiziaria ordinata dal supremo magistrato, per tutta risposta il 17 agosto scorso aveva chiuso il proprio ufficio a San Paolo e accusato la giustizia di perseguirlo per scopi di censura.
Dal Texas, dove si trova in queste ore, Musk fa sapere di non aver alcuna intenzione di soddisfare l’ordinanza del Supremo Tribunale Federale. Anatel, l’organo nazionale che controlla le telecomunicazioni brasiliane, conferma il carattere a tempo indeterminato della sospensione delle frequenze di X-Interlink, la media-company di Musk. Bolsonaro e i suoi soci e alleati stanno intanto portando avanti la tesi degli intenti censori del governo brasiliano, di Lula e del suo PT, il partito dei lavoratori, la cui tendenza radicale da tempo accusa Musk d’intervenire sistematicamente con fake-news negli affari interni d’un paese sovrano. Nessuno intravvede mediazioni possibili, sebbene tanto negli Stati Uniti quanto in Brasile specialisti di diritto internazionale affermino di vedere elementi impropri nelle prese di posizione d’entrambe le parti. Una valutazione niente affatto sorprendente, considerando il carattere inedito e pervasivo delle questioni in gioco. Nell’attuale stato delle cose, la vertenza appare destinata a protrarsi proprio per le sue innumerevoli oltre che gigantesche implicazioni di ordine giuridico ed economico internazionali.