Mike, Moana e la nostra fenomenologia

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Due anniversari ci inducono a compiere una riflessione che va ben al di là della cosiddetta “società dello spettacolo”. Mike Bongiorno e Moana Pozzi, infatti, sono stati, ciascuno nel suo campo, due icone della nostra fenomenologia nazionale, due punti di riferimento con cui tutti siamo stati chiamati, in qualche modo, a fare i conti. Se il popolare conduttore è stato colui che ha introdotto il quiz in Italia, trasformando, come sosteneva Proietti, “la cerchia familiare in un semicerchio”, la celebre diva del porno ha modificato i costumi nel profondo, affrancandoli da un certo retaggio bigotto che ormai non era più in sintonia con il comune sentire delle persone.
Non c’è dubbio che la televisione sia stata la nostra vera rivoluzione, e sbaglia chi sostiene che gli italiani siano un popolo tendenzialmente conservatore. Noi le rivoluzioni, storicamente, non le abbiamo compiute assaltando la Bastiglia o facendo saltare teste con la ghigliottina, ma attraverso l’ingegno. Se oggi, difatti, esistono cellulari e social network è perché c’è stato Marconi e se la famiglia ha assunto le caratteristiche contemporanee, come dicevamo, è stato merito di uno strumento che si è assunto il compito di riunirla a un’ora ben definita, trasformandone il modo di pensare e di concepire l’esistenza. Non a caso, l’ulteriore rivoluzione telematica, quella dei social e degli smartphone, rappresenta un’evoluzione, e spetta alla politica e alla migliore intellettualità diffusa far sì che strumenti potenzialmente disgreganti e in grado di isolarci dal prossimo diventano invece aggreganti in senso moderno. Battersi contro la modernità e le sue innovazioni, invece, è una scemenza, preludio di delusioni e amarissime sconfitte per chiunque provi a cavalcare in tal senso l’onda regressiva che pure sta avvelenando l’intero Occidente.
La freschezza di Mike e dei suoi programmi, del resto, risiedeva proprio nelle novità che il nostro riusciva ogni volta a introdurre, nel suo rapporto speciale con i concorrenti e col pubblico, nel suo stile di conduzione e nella sua incredibile abilità nel cogliere il talento altrui e valorizzarlo. Basti pensare a Gerry Scotti e Fiorello, tanto per citarne due, cui l’italoamericano più famoso in assoluto seppe passare il testimone al momento opportuno. Non solo: Mike incarnava anche alcuni tratti tragici della nostra vicenda nazionale, come ad esempio la detenzione a San Vittore negli anni in cui partecipò alla Resistenza. Comunque la si pensi, dunque, c’era un tratto eroico in lui, una perfetta miscela di alto e basso che lo rendeva, al contempo, apocalittico e integrato, compagno di tante solitudini ma anche fonte d’ispirazione per quella parte del mondo della cultura che ne subiva il fascino avvertendone la grandezza ribelle.
Quanto a Moana, al pari di Cicciolina, è stata colei che ha saputo unire, meglio di altre e altri, corpo e anima, nella stagione del produttore Schicchi e prima che anche questo universo, per sua natura controverso, si corrompesse definitivamente. C’erano in lei una sorta di purezza, di ingenuità, di bellezza interiore, una mescolanza di cultura e tenerezza; rappresentava da par suo la meraviglia e la scoperta del mondo, la vulnerabilità e la follia, la conoscenza e lo spirito d’avventura, la passione civile e una generosità senza pari.
Quindici anni senza Mike, trenta senza Moana (scomparsa davvero giovanissima, a soli trentatré anni) e la nostra vicenda collettiva, oggi, è senza dubbio meno avvincente. Non foss’altro che perché mancano dei veri momenti di svago, una trasgressione gentile, una singolare opposizione all’ordine costituito. Sono rimaste solo la volgarità e la violenza, al punto che talvolta ci vien da pensare che ormai tutto sia perduto.

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