Delle due l’una: o Giorgia Meloni è diventata improvvisamente una politica imprudente, e non ci pare il caso, o ci deve delle spiegazioni. Il Global Citizen Award che riceverà il prossimo 23 settembre a New York dall’Atlantic Council, a margine dell’Assemblea annuale delle Nazioni Unite, andrebbe benissimo, e anzi costituirebbe un riconoscimento personale alquanto prestigioso, se non fosse che a consegnarglielo sarà Elon Musk. Ora, presumendo che alla Farnesina e negli alti ranghi della nostra diplomazia esistano tuttora degli esperti di politica estera di un certo livello, in grado di consigliarla e tenerla al riparo da possibili errori, ci sembra strano che né lei né alcun membro del suo staff abbiano colto il rischio cui la Presidente del Consiglio si espone recandosi in un Paese alla vigilia del voto a compiere, di fatto, un endorsment a favore di uno dei due candidati. L’America, oltretutto, non è un paese qualsiasi: dai legami dei vari protagonisti di casa nostra con l’amministrazione statunitense sono dipese, storicamente, le sorti dei governi e delle carriere dei singoli personaggi.
Ora, che Meloni si trovi a meraviglia con la galassia sovranista di Musk e Bennon, che abbia una predilezione per Orbán e che si senta ingabbiata nel ruolo di moderata che s’è dovuta cucire addosso negli ultimi due anni per non dispiacere troppo all’amministrazione Biden, è cosa nota. Che ignori i rischi di esporsi in questo modo al cospetto di un’eventuale presidenza Harris, invece, ci sembra alquanto strano. E allora, ribadiamo, delle due l’una: o Meloni si sta giocando il tutto per tutto, ben cosciente che con l’arrivo di Harris il suo esecutivo sarebbe meno solido, per usare un eufemismo, venendole a mancare il solido legame che con abilità si è saputa costruire con Biden, o ha l’impressione, che a dire il vero, purtroppo, abbiamo anche noi, che il prossimo inquilino della Casa Bianca sarà Trump. Sia come sia, non possiamo evitare di far notare che i legami sempre più stretti fra l’esecutivo italiano e uno dei simboli del gigacapitalismo globale, la cui gestione di X, il social che ha acquistato e che gestisce da padre padrone, è quanto meno controversa, costituiscano un motivo di imbarazzo.
Bisognerebbe, dunque, aprire una riflessione sulla divisione dei poteri, sul rapporto sempre più promiscuo fra la politica e un certo mondo imprenditoriale, al punto che ormai si può parlare, specie in alcuni casi, di autentica fascinazione, e sulla necessità di stabilire poche, semplici regole valide per tutti: sia per quanto concerne la tassazione sia per quel che riguarda il limite oltre il quale la libertà, valore imprescindibile, si trasforma in arbitrio e diritto al dileggio di chi la pensa diversamente. Servirebbe, a tal proposito, una sinistra degna di questo nome, e ci auguriamo che presto decida di rimettersi al lavoro, per utilizzare un’espressione molto usata quest’estate nell’ambito della Convention democratica, perché altrimenti non si potrà più parlare di giustizia, diritti, uguaglianza, parità d’accesso alla conoscenza e al sapere; insomma, di tutto ciò che distingue una democrazia da ciò che democrazia non è.
In conclusione, lasciatemi dire che la penso come Vincenzo Vita: se noi, non solo come Articolo 21 ma come intero fronte progressista, nel nostro piccolo, la smettessimo di cinguettare e ci battessimo in Europa per creare una piattaforma pubblica in grado di sfidare gli Over the top, non sarebbe un semplice segnale ma una scelta politica destinata a fare scuola.
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