“L’innocenza”, Di Hirokazu Kore’eda, Giappone, 2023

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Con Sakura Ando, Soya Kurokawa, Eyta Nagayama, Yuko Tanaka.

Il film di Kore’eda, ad oggi il suo migliore in assoluto, mette in scena, truffautianamente, la contrapposizione e l’inconciliabilità tra la libertà del mondo infantile (al confine con la pubertà adolescenziale, vissuta tra problematiche familiari e scolastiche, come nel paradigmatico “I 400 colpi” del genio francese), qui rappresentato dai due amici e compagni di classe Yori e Minato, e le regole ferree entro cui, inevitabilmente, si muovono gli adulti, anche quando essi stessi sono vittime innocenti di coincidenze e casualità. Il regista giapponese si preoccupa di mettere in scena, con dovizia di particolari, i diversi momenti vissuti dai protagonisti della vicenda raccontata, la madre di Minato, il professore accusato da quest’ultima di maltrattamenti verso il figlio, dietro indicazione dello stesso, e il rapporto, anche amoroso, che lega i due quasi adolescenti. Non un intersecarsi di diversi punti di vista, dunque, come in “Rashomon” di Kurosawa, ma un evidenziare il gioco del caso e della tempistica in cui tutti siamo immersi, veicolo di una dolorosa incomunicabilità impossibile da vincere. Formalmente, ne esce un racconto slegato, forse frutto di uno script, per la seconda volta dal 1995 di “Maborosi”, non realizzato dallo stesso Kore’eda (l’autore è Yiuji Sakamoto), come fossero tre film autonomi, di cui due, quelli iniziali che riguardano la madre ed il professore, stilisticamente perfetti, ma che si sviluppano senza dare allo spettatore quel giusto pathos che un intreccio efficace, a livello di montaggio, con la terza parte avrebbe regalato. E’ soltanto la parte finale, la terza appunto, quella che vede interessati i due giovanissimi e straordinari protagonisti, che fa dell’opera di Kore’eda un capolavoro. La libertà assoluta dell’infanzia vince prepotentemente, anche e soprattutto nei momenti di maggiore difficoltà. Ne esce il racconto sublime del senso stesso del piacere della vita, come una fiaba vissuta non a caso a contatto con la natura, da sempre metafora di purezza e incontaminazione dal mondo costruito, necessariamente, a dimensione degli adulti. La figura della preside Fushimi è quella che più di ogni altra riesce a fare sintesi di tutto ciò. Acconsente che sia il marito a prendersi la colpa, al suo posto, di aver ucciso in un incidente d’auto la nipotina, pur essendo consapevole del suo gesto, vergognandosene e soffrendone oltremodo, ma costretta a farlo per questioni di decoro e di sopravvivenza. Il finale, con la corsa di Yori e Minato verso la felicità, apparirà agli occhi degli spettatori come un sogno da cui ci si sveglierà in una mattina fatta solo di ricordi lontani e sbiaditi, ormai adulti e scesi a compromessi obbligati con la vita. La condizione dell’uomo, da sempre e per sempre.


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