Giovedì prossimo 26 settembre la maggioranza ha inserito nel calendario della Camera e del Senato il voto sulle nomine nel Consiglio di amministrazione Rai. Ciascuna Camera vota due nomi con il voto limitato ad uno: una regola che consente all’opposizione di avere almeno teoricamente un suo rappresentante, seppure in minoranza nell’equilibrio complessivo del Consiglio.
A quelle scelte seguirebbero quasi certamente le due nomine di competenza del Governo: l’amministratore delegato (il dirigente che concentra su di sé il maggior potere in Rai) ed un secondo membro probabilmente destinato a diventare Presidente. Su quest’ultimo è però necessario, non solo il voto del Consiglio, ma il voto positivo con la maggioranza qualificata di due terzi da parte della Commissione parlamentare per l’indirizzo e la vigilanza sulla Rai.
Il Consiglio in carica è scaduto da almeno tre mesi e finora si erano sollevate almeno due serie obiezioni contro il rinnovo immediato. Da un lato il nuovo Freedom Act che impone un sistema di nomina indipendente per i vertici dei servizi pubblici e che richiede al contempo anche indipendenza economica. Il MFA è già entrato in vigore e su questi punti diventerà operativo a partire da agosto 2025. Ogni comportamento in difformità porterà dritti alla procedura d’infrazione e alla Corte di Giustizia.
C’è però anche una seconda ragione che finora aveva consigliato una proroga dell’attuale vertice, non certo ostile verso il Governo Meloni. La ragione risiede in una causa aperta davanti al Tar del Lazio, con udienza di merito già fissata al 23 ottobre 2024, quindi poco più di un mese. I ricorrenti (Rizzo Nervo, Rolando, Rossano e Vigevani) contestano non solo il metodo di scelta parlamentare che non adotta di fatto nessun tipo di “selezione comparativa” come la legge richiede, ma obiettano che il sistema di nomina nel suo insieme si pone in contrasto con la sentenza n.225 del 1974 che vieta che i vertici della Rai siano espressione diretta del potere esecutivo. Quindi chiedono il rinvio alla Corte costituzionale della legge Renzi del 2015
L’opposizione parlamentare chiede unitariamente di procedere prima alla riforma della legge Rai, per adeguarsi alla Costituzione e al Freedom Act e solo dopo procedere alle nomine. La proroga dell’attuale consiglio non costituisce certamente un fatto nuovo nella vita della Rai (personalmente ho fatto parte di almeno un paio di consigli prorogati) e lascia l’organismo nella pienezza dei poteri.
La Presidente del Consiglio sembra intenzionata invece a procedere comunque con o senza il consenso dell’opposizione. Qualcuno ipotizza che anche se il o la Presidente non avesse il parere favorevole della Commissione parlamentare si potrebbe andare avanti lo stesso. Senza considerare che in quel modo il Consiglio sarebbe comunque acefalo e tutti gli atti sarebbero compromessi in quanto passibili di illegittimità.
Ecco perché parlo di prove di Premierato. Il Governo ha la stabilità con il 60 per cento dei voti in Parlamento (potrebbe quasi eleggere da solo il giudice costituzionale mancante), ha il potere legislativo con un numero record di decreti legge e di fiducie, ha in mano il potere estero con i trattati che stipula direttamente (vedi anche quello con l’Albania sui migranti) e fa ratificare dalla sua maggioranza, non fa più regolamenti che richiedono Consiglio di Stato e Decreto del Presidente della Repubblica, ma governa con un numero enorme di DPCM (gli atti che la Meloni contestava durante la pandemia). In questo modo sono stati nominati circa 60 Commissari straordinari, compreso il sostituto di Curcio alla Protezione civile.
La nomina di un amico al vertice della Rai e magari un Consiglio della Rai senza le opposizioni chiuderebbe il cerchio.
A quel punto aspettare il giudizio della magistratura sarebbe un dettaglio, tanto il giudice c’è a Berlino. Che importa se a Roma non c’è!