Le madri in carcere con i bambini, chi protesta per la costruzione di inutili cattedrali nel deserto a processo per anni e anni, se non addirittura in manette, la battaglia leghista contro la teoria gender nelle scuole: non si sa dove finisca il confine della farsa e inizi quello della tragedia. Occhio, tuttavia, a non sottovalutarli. Con un governo del genere c’è assai poco da ridere. La mancata tutela delle donne che commettono reati con figli neonati, per lo più le famose zingare borseggiatrici ma non solo, costituisce la morte della civiltà giuridica del Paese che fu di Beccaria e oggi s’è ridotto alla barbarie. La persecuzione nei confronti degli attivisti di Ultima generazione e di tutte e tutti coloro che si battono contro le storture di un modello sociale, economico e di sviluppo ormai assolutamente insostenibile risponde alla necessità di mettere a tacere il dissenso, specie in una fase in cui l’esecutivo non se la passa benissimo (per usare un eufemismo) e le sue divisioni cominciano a essere evidenti. L’attacco a qualunque diversità, in nome di una famiglia tradizionale che sono i primi a disconoscere con i propri comportamenti, completa l’opera, nel tentativo di instaurare un’egemonia culturale che, con ogni evidenza, non sono in grado di esercitare. Del resto, siamo arrivati al punto in cui un omicidio è stato considerato, da una parte non piccola dell’opinione pubblica, un atto di giustizia, solo perché l’assassina è una donna bianca, italianissima e benestante mentre la vittima era un povero cristo con alle spalle una vita di espedienti, come se il rispetto per la vita umana, compresa una “vita di scarto”, per utilizzare la magnifica espressione di denuncia di papa Francesco, potesse dipendere dalla nazionalità o dal colore della pelle del soggetto in questione. È davvero il mondo al contrario: quello in cui non c’è attenzione alla fragilità, non esiste pietà, le voci dissenzienti vengono zittite, stiamo educando una generazione alla scuola dell’odio, sta venendo meno ogni solidarietà e ad essere a rischio sono le conquiste basilari figlie della Costituzione anti-fascista. È una realtà pericolosa che non può lasciarci indifferenti, così come non può lasciarci indifferenti l’acquiescenza di determinate trasmissioni nei confronti di un potere che ha deciso di risolvere ogni problema con la linea dura, senza tenere conto delle specificità di ogni singola vicenda e privando della necessaria libertà un popolo che, purtroppo, sta assecondando una deriva che non è solamente italiana. La libertà, già, un concetto di cui a sinistra, per troppo, tempo, ci siamo quasi dimenticati. La libertà di sbagliare, di fare i conti con noi stessi e di ricominciare. La libertà di accogliere e di includere. La libertà di protestare, anche vivacemente, purché in maniera pacifica. La libertà di remare in direzione ostinata e contraria. La libertà: il valore cardine della convivenza civile. È quello che il compianto professor De Masi definiva diritto alla felicità: non nel senso che gli attribuisce la Costituzione americana, ossia il diritto alla piena realizzazione di se stessi, pure importantissimo, ma nel senso di non essere trasformati negli elementi di un ingranaggio che rischia di stritolarci.
Scusate se insisto sulla tragedia carceraria, ma fra tutti i provvedimenti varati in questi giorni dal governo per me è il più grave. L’idea di vedere delle madri dietro le sbarre con i bambini piccoli, infatti, è aberrante. Fermarle e recuperarle è doveroso, anche per tutelare i nostri beni e la tranquillità delle persone. Utilizzare i penitenziari come discariche sociali, al contrario, è intollerabile. Tutto, a dire il vero, è intollerabile in questa fase storica. E se l’opposizione non avrà la forza e il coraggio di fare fronte comune contro questi soprusi, se non la smetterà di accomodarsi sulle comode poltrone di determinati salotti televisivi, fingendo di non vedere che in quei contesti viene esposta una tesi precostituita, se non si avrà l’intelligenza di dire la verità agli italiani in merito ai diritti che stanno perdendo; insomma, se non si recupererà alla svelta quell’afflato resistenziale che dovrebbe essere la base del nostro stare insieme, soprattutto alla vigilia dell’ottantesimo anniversario della Liberazione, l’Italia non avrà un domani. E allora, come purtroppo sta già accadendo, diventerà normale ciò che fino a non molto tempo fa era giustamente considerato inaccettabile.