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La Germania cambia tutto

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Occhio a non sottovalutare il voto in Sassonia e Turingia: non sono due land qualsiasi, non è un esito di fonte al quale si possano scrollare le spalle e far finta che non sia successo niente. Nel momento in cui un partito di matrice neo-nazista come Alternative für Deutschland supera la soglia psicologica del 30 per cento e il principale partito di governo, l’SPD, non raggiunge quella del 10, significa infatti che l’esecutivo è stato sostanzialmente sfiduciato e Scholz non può che trarne le conseguenze. Non si dimetterà, probabilmente, ma qualcosa dovrà cambiare all’interno della coalizione, a cominciare dalla folle linea dell’austerità imposta soprattutto dal liberaldemocratico ministro delle Finanze Lindner, che per scongiurare una nuova Weimar rischia di far precipitare la fu locomotiva d’Europa in uno scenario molto simile all’incubo che si materializzò dopo Weimar, quando la sfiducia, la rabbia e la disperazione condussero al potere un imbianchino austriaco le cui opere sono tristemente note.
Se a ciò aggiungiamo l’arroganza di Macron, in una Francia mai così divisa e sull’orlo di una crisi di nervi, è chiaro che il contesto europeo faccia risorgere spettri che speravamo di esserci lasciati definitivamente alle spalle. Evidentemente non è così e non possiamo tacere sulle vere cause del disastro. La principale è la guerra. Se l’est della Germania si affida, a destra, a un movimento come AfD e a sinistra al populismo di Sarah Wagenknecht è perché, ammettiamolo, le sanzioni inflitte alla Russia sono in realtà sanzioni inflitte a noi stessi e alle nostre economie. E la Germania, dopo il sabotaggio del gasdotto North Stream 2 e la rottura dei rapporti energetici con la Russia, è entrata di fatto in recessione. Quanto alla Francia, è chiaro che il bellicismo da strapazzo di un personaggio che si crede Napoleone e non è nemmeno Talleyrand, che si permette di non rispettare l’esito del voto popolare e che prova a spaccare il fronte delle sinistre, nominando Cazeneuve primo ministro per proseguire lungo una linea di massacro sociale e penalizzazioni inferte ai ceti più umili, rischia di condurre, a breve, il paese fra le braccia di Le Pen e Bardella.
Non possiamo tacere, ribadiamo. Il voto tedesco ci dice che ormai l’Europa sta diventando un’espressione geografica, capace solo di prendere ordini e priva di una politica estera autonoma, di una qualunque visione geo-politica e, quel che è peggio, di una strategia diplomatica in grado di scongiurare un conflitto mondiale ma, prim’ancora, la propria dissoluzione. Lo capiranno dopo questa sconfitta devastante? No, non queste classi dirigenti. E il motivo è semplice: si ha sempre più l’impressione che non rispondano a cittadine e cittadini ma ad altri interessi, come ha candidamente confessato Macron quando ha parlato delle preoccupazioni dei mercati per l’eventuale nomina di Lucie Castets a Matignon.
Venendo alle questioni nazionali, Elly Schlein è tornata dalle ferie con determinazione e tenacia, ha pronunciato parole nette sull’Ucraina, sostenendo che vada sì sostenuta ma scongiurando al contempo ogni attacco in territorio russo con armi europee, e si è intestata una linea unitaria che dovrebbe ricomporre il centro-sinistra senza escludere nessuno a priori. C’è un problema, però: prima o poi, dovrà dirci come la pensi davvero su un’Europa che sembra tornata quella del 1939, nella quale non esiste più alcuna comunità e alcuna solidarietà e in cui prevalgono gli interessi dei singoli stati e la legge del più forte. Dovrà dirci, insomma, se vuole essere una leader acquiescente o una leader di rottura, anche a costo di porre al centro della propria azione politica una battaglia durissima all’interno dell’irriconoscibile galassia socialista, ormai divenuta talmente parte dell’establishment da essere relegata, nelle aree di maggior sofferenza dei vari paesi, a percentuali a una cifra. Da questo sforzo e dal suo esito, dipenderà il destino dell’Italia. Limitarsi a sostenere che l’attuale governo sia inadeguato, difatti, è un esercizio di stile, diremmo quasi un’ovvietà. Ciò che vorremmo capire, piuttosto, è come la pensi davvero la prima forza d’opposizione: se condivida le idee della sua segretaria o sia tuttora ancorata a quelle improponibili di una socialdemocrazia decotta e di un socialismo che ha scelto da tempo di affogarsi nel macronnismo, ossia di estinguersi. Nel primo caso ha un futuro, nel secondo no.
(Nella foto Olaf Scholz)

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