BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

“Iran a mani nude” di Mariano Giustino, il 19 settembre la presentazione a Roma

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Dal 16 settembre 2022, per la prima volta, la popolazione di Tehran, cuore culturale e politico del paese, è scesa in strada per ribellarsi contro l’uccisione di una ragazza curda, non persiana e non sciita, cioè di una donna che apparteneva alla periferia, al Kurdistan. Ciò ha rappresentato il primo passo di una profonda rivoluzione culturale che nell’arco di un anno e mezzo ne ha fatti compiere molti altri con l’abbattimento di fatto dell’apartheid di genere e della distanza tra centro e periferia.

Non deve sorprendere molto il fatto che questa pacifica lenta rivoluzione della nuova generazione di giovani iraniani, che ora si esprime con quotidiane azioni di disobbedienza civile, sia a mani nude, perché nella storia moderna di questo paese, a partire dal 1905 le rivoluzioni che si sono susseguite sono state “rivoluzioni disarmate”, come quella del 1979 che durò tredici mesi e trionfò senza che i rivoluzionari sparassero un solo colpo, mentre,invece, fu lo Shāh che ordinò alle sue truppe di aprire il fuoco sugli inermi manifestanti, proprio come hanno fatto i guardiani della rivoluzione sparando contro giovani donne e uomini che manifestavano a mani nude.

Questa “rivoluzione gandhiana”, che prosegue sotto forma di disobbedienza civile, sta provocando un vero e proprio “risorgimento iraniano” anche riguardo alla questione delle minoranze etniche e religiose non più viste come elemento di divisione e di conflitto, ma come componenti titolari di uguali diritti all’interno dello stato.

Sono le province della periferia dell’Iran, come il Kurdistan iraniano e il Sistan-Balochistan, il cuore della rivoluzione per la liberazione dell’Iran dalla Repubblica islamica iniziata il 16 settembre 2022 dopo la brutale uccisione della giovane curda-iraniana, Jîna Emînî, costretta a vedersi registrataall’anagrafe con il nome in lingua fārsī di “MahsaAmini” perché la legge iraniana vieta l’uso di nomi non persiani. Le minoranze etniche e religiose in Iran sono state da sempre costrette a celare la loro identità non persiana e non sciita. Ora, gli iraniani, dalla periferia al centro, a mani nude, si sono mostrati uniti in una inedita sintonia. Questa è una delle caratteristiche più rivoluzionarie della ribellione dei giovani ed è nato un movimento rivoluzionario spontaneo, apartitico che possiamo definire “globale-locale, influenzato dalla globalizzazione delle moderne tecnologie di comunicazione e, nello stesso tempo, un movimento in cui giocano un ruolo fondamentale i fattori interni con le croniche fratture della società civile provocate prima dalla propaganda dell’oppressiva monarchia che ha regnato nel paese e poi da quella del regime teocratico islamico. Ma ora vi è, in particolare nella “Generazione Z”, l’assolutaconsapevolezza della necessità e la volontà di vivere in un paese libero. È questo quello che accomuna centro e periferia in Iran, più uniti nella conquista della “democrazia”, “dello stato di diritto”, “dei diritti umani e dei diritti delle minoranze” e della “libertà”, tutto ciò racchiuso nel motto curdo: “Jîn, Jîyan, Azadî(Donna, Vita, Libertà).

La nuova generazione di ventenni e trentenni, che costituiscono oltre il 70% della popolazione, non è più disposta ad ascoltare la propaganda del regime che per 45 anni ha fomentato odio e divisione nel paese per meglio controllarlo.

La Rivoluzione “Donna, Vita, Libertà” ha radici molto lontane, ha avuto inizio prima ancora della rivoluzione islamica del 1979, nasce da una lunga storia di oltre un secolo di movimenti per i diritti delle donne e di attivismo all’interno dell’Iran. Le cittadine iraniane da anni elaborano strategie per sfidare la discriminazione di genere, sia in politica che nella società. Nata e guidata da donne, la rivolta attraversa le divisioni di genere, di classe e di etnia, e rappresenta la più seria sfida popolare ai leader teocratici dal 1979. Ci troviamo di fronte, dunque a un evento epocale: quella iraniana è una rivoluzione nata da tutti gli oppressi, dalla periferia, dagli ultimi, dalle minoranze ed è subito divampata nei centri urbani con le donne protagoniste.

Partita, dunque, da una protesta in una piccola città della provincia curda dell’Iran, la rivolta della gioventù iraniana contro il regime teocratico è divampata in tutto il paese e ha visto al centro le donne con il coinvolgimento di larghi strati della popolazione, prevalentemente studenti, giovani e adolescenti. L’uccisione della ventiduenne, JînaEmînî (Mahsa Amini) curda di Saqqez, massacrata di botte il 16 settembre 2022 in un furgone della cosiddetta “polizia morale” che l’aveva arrestata perché non indossava correttamente il velo come prescrive la legge islamica, ha rappresentato la scintilla che ha fatto esplodere il fuoco della sofferenza e della ribellione che covavano nell’anima del paese da quarantacinque anni.

L’applicazione rigida del codice di abbigliamento islamico è diventato il pilastro su cui si fonda il potere religioso in Iran e dal 1979 il requisito del velo obbligatorio è stato spesso terreno di scontro tra la leadership religiosa e quella politica.

L’obbligo del velo è vecchio almeno quanto la rivoluzione e la sua imposizione è stata più o meno rigida a seconda degli sviluppi politici. Era più rigidodurante i governi più conservatori e veniva allentato durante i cosiddetti governi riformisti”. Inoltre, vi era anche una differenza tra le classi sociali. Nel nord di Tehran, dove vivono gli iraniani della classe superiore, l’osservanza dell’obbligo è stata meno rigida, mentre era più severa nei quartieri poveri e nelle campagne.

Dopo la rivoluzione islamica nel 1979, il regime khomeinista ha incominciato a imporre rigidi codici di abbigliamento sostenendo che i “foulard venivano indossati in modo errato e che gli abiti lasciavano scoperte molte parti del corpo.

Ma a partire dal 2017, si afferma una nuova generazione di donne che rifiutano l’intera istituzione della Repubblica islamica considerata misogina, che pratica l’apartheid di genere e che usa l’arma del terrorismo per esercitare il suo potere in ogni ambito di politica interna ed estera. È il movimento della cosiddetta “Generazione Z” che rifiuta l’ipocrisia di vivere la libertà solo nello spazio privato e la rivendica ovunque, a cominciare dallo spazio pubblico.

Una generazione che sogna di liberarsi da ogni oppressione e ogni autoritarismo “per vivere come vivono i giovani in Occidente”.

Cantano e ballano per la libertà, in Rete e in tutti i luoghi pubblici, i giovani in Iran. Cantano nelle metropolitane, sugli autobus, per le strade, nelle piazze. Donne e uomini cantano e ballano insieme anche se è vietato e se si rischia la fustigazione e il carcere; anche se i pasdaran e le forze basij sparano contro di loro nelle metropolitane e sugli autobus, accecandole. “Azadi, Azadi” (Libertà, Libertà), ripetono i giovani a squarciagola. La liberazione dell’Iran è vicina”, gridano e, come in un sogno che all’alba non muore, saltellano sventolando un pezzo di stoffa e intonando canti di liberazione. Nelle piazze di Tehran, uomini e donne si sono tenuti per mano inscenando girotondi attorno al fuoco, che simboleggia il sole che illumina le tenebre e scaccia via l’oscurantismo: è la lentaRivoluzionedell’Amore”, ma in Occidente sono solo in pochi ad accorgersene. Solo in pochi si sono accorti della ventiduenne Hadis Najafi che esprimeva amore per sé e per la vita, chiusa nella sua stanza, davanti alla telecamera del suo computer, quando con i tacchi a spillo, jeans attillati e maglietta corta che scoprival’ombelico, intratteneva il suo folto pubblico di TikTok e Instagram danzando e cantando in videoclip con sincronizzazione labiale. Il 21 settembre 2022 uscì di casa per unirsi alle proteste “Donna, Vita, Libertà” all’insaputa della madre. Sei proiettili di fucile da caccia la raggiunsero sull’Eram Boulevard,nel centro ricco e lussuoso di Mehrshahr, un distretto a sudovest della città di Karaj, a 40 km dalla capitale.

I giovani iraniani sono consapevoli che “la vita può essere vissuta in modo diverso” e non vedono altra speranza se non quella del salvifico abbattimento di questo regime orrifico. Con eroico coraggio, inermi e a braccia aperte, affrontano le feroci milizie del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche che sparano a vista su di loro.
La presentazione del libro a Roma, giovedì, il19 settembre, alle ore 18 presso la Fondazione Luigi Einaudi in via della Conciliazione 10.
Introduce: Andrea Cangini, Segretario generale Fondazione Luigi Einaudi

Oltre all’autore, Mariano Giustina, interverranno Masih Alinejad, attivista per i diritti umani, giornalista e scrittrice, Flavia Fratello, giornalista La7,  Fariborz Kamkari, regista e scrittore curdo-iraniano, Giovanna Reanda, direttrice Radio Radicale,   Federica Sciarelli, autrice e conduttrice Rai, Rayhane Tabrizi, attivista iraniana per i diritti umani.


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