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Dalla realtà al reality

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Contro il monopolio del servizio pubblico si invocava la libertà. Libertà di scelta, libertà di impresa, libertà di informazione. Siamo caduti un po’ tutti nel tranello, figli di un’epoca in cui la libertà era ispiratrice dei nostri ideali, professionali e di cittadini.

In realtà non era la libertà l’obiettivo dei “liberisti” dell’etere. Non almeno quella degli utenti della Tv. L’obiettivo era la libertà di chi li gestiva. Libertà di controllo politico, di orientamento dell’opinione pubblica, di impresa, di fiancheggiamento del potere. Naturalmente quello più conservatore, antiprogressista, ancora timidamente fascista. Timidamente ancora per poco.

Insomma, il Berlusconismo. Che è poi è diventato esso stesso partito.

Si sono consumati litri di inchiostro e pagine di libri e giornali per analizzare il fenomeno. Diciamocelo, a rischio di semplificare per eccesso: il fenomeno era strategia di gestione del consenso. Il servizio pubblico non garantiva più questa strategia. Era diventato di tutti, persino del Partito Comunista.

Che roba Contessa.

Quale sistema migliore per attirare e distrarre menti che l’“invenzione” di una realtà inesistente? Perché questo gradualmente è successo. Reality, significa realtà. Un termine rubato all’inglese per mistificare meglio. In italiano difficile riuscirci. La realtà è la realtà. Ma reality… quanto inganno è capace di contenere un termine che arriva da lontano.  Un inganno difficile da individuare, un inganno al quale è quasi impossibile sfuggire.

E così milioni di telespettatori hanno creduto che i “Reality” in fondo non fossero che realtà trasposta sullo schermo. Verità. Lacrime, tradimenti, dolore, rabbia. Cosa c’è di più umano?

Talmente umano da far perdere di vista il vero e convincersi che il vero è in TV, non fuori dalla nostra finestra dove guardiamo ormai sempre meno, sempre più distrattamente, sempre con meno interesse.

Ecco cosa è avvenuto al TG1. Il Reality ha preso possesso dell’informazione. Il paradosso si è consumato: la realtà ha assunto i connotati della formula di intrattenimento più diffusa e seguita. Stessi criteri, stesso format.

Il problema è che il protagonista, Sangiuliano, è un Ministro della Repubblica; il giornalista che si è prestato è il Direttore del principale TG del servizio pubblico pagato da cittadini; e il tema era molto più serio di quanto si è voluto far credere.

Ma non servono a questo i reality? Non servono a convincerci che la loro realtà è quella vera?

Piango il servizio pubblico che è stato.

 

 


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