Cari intellò delle due sponde dell’Atlantico,
forse non ce ne siamo accorti, forse non riusciamo a farcene una ragione, ma Trump non parla a noi. L’uomo è perfido, furbo, privo di alcuno scrupolo, un mentitore seriale e un personaggio per molti versi pericoloso per la democrazia e per la stessa convivenza civile, ma questo lo sa anche lui. E quando parla di immigrati che a Springfield mangiano gli animali domestici degli americani, quando si tira fuori la storia del muro al confine col Messico, una vergogna che peraltro, in larga misura, già esiste, quando usa aggettivi intollerabili per definire le donne, quando sceglie un vice che è quasi peggio di lui, insomma quando esprime il trumpismo all’ennesima potenza, lo fa per galvanizzare la sua base elettorale. Ecco, questa invece è colpa nostra. Perché se in America, ma anche in buona parte d’Europa, esiste oggi una cittadinanza disposta a bersi certe fandonie o a considerarle un danno collaterale, quando al contrario costituiscono un attentato alla democrazia e alla Costituzione, minando la convivenza civile e smantellando i pilastri sui quali si fonda l’Occidente risorto dalle ceneri della Seconda guerra mondiale, se abbiamo ridotto alla disperazione così tanta gente da costituire un bacino d’utenza per ogni pifferaio e demagogo in circolazione, dobbiamo fare mea culpa. E non possiamo scagliarci solo contro la politica, che pure ha responsabilità enormi, specie a sinistra, avendo supinamente accettato i dogmi del liberismo fino a smantellare ogni traccia di pensiero keynesiamo. Dobbiamo innanzitutto guardarci allo specchio, rileggere i nostri articoli e i nostri libri, riflettere sulle lezioni che abbiamo tenuto per decenni all’università, riascoltare ciò che abbiamo detto per diversi lustri in seminari e convegni e concludere che, anziché costituire il motore culturale di un percorso di crescita collettivo, altro non siamo diventati, nel tempo, che dei menestrelli di corte, intenti a compiacere il potere che ci consentiva di recitare sul palcoscenico o di essere in prima fila in platea. Prendiamone atto: le plebi inferocite che adesso si affidano ai Trump di tutto il mondo ce l’hanno soprattutto con noi. Detestano le nostre parole d’ordine, i nostri agi, il nostro benessere e il nostro non aver mai pagato in prima persona le crisi a ripetizione che, all’opposto, hanno devastato le loro vite. Non bisogna giustificarli in toto: nelle loro parole e nelle loro scelte c’è anche un insieme di invidia, odio, mancanza di cultura e ferocia inutile e gratuita; stiamo attenti al “gentismo” perché ha già arrecato abbastanza danni alla società nel suo insieme. Un fondo di ragione, tuttavia, ce l’hanno. Basta fare un salto a casa nostra per rendersi conto di quali siano le colpe storiche di quel vasto universo giornalistico, accademico e di presunta intellighenzia, come detto quasi sempre contiguo al potere, qualunque esso sia, che negli anni ha sostenuto Monti, Renzi, Draghi, le larghe intese e altre “mirabilie” che hanno condotto al governo l’attuale classe dirigente. Non per niente, i suoi vessilliferi sono tuttora animati dal desiderio di riportare in auge gli alfieri di un establishment ormai decotto pur di salvaguardare le proprie poltrone e i propri privilegi a scapito della comunità. Ebbene, oltreoceano non è andata diversamente. Basti pensare alla macchina che si è messa in moto, nel Partito Democratico, per ostacolare la candidatura di Bernie Sanders e favorire Clinton e Biden; basti pensare a ciò che quella stessa macchina di potere ha messo in atto per denigrare chiunque si opponga alla logica delle armi e dei conflitti senza fine; basti pensare al terrore, anche condivisibile, che li attanaglia all’idea che possano ritrovarsi di nuovo Trump alla Casa Bianca. Non è Trump in sé a dar loro fastidio: il bancarottiere interprete dell’America suprematista è, più o meno, uno del circolo, al netto di qualche posizione sovranista più di facciata che reale. Ha un altro difetto: li escluderebbe dal banchetto. Non a caso, papa Francesco, in merito al voto americano, ha lasciato intendere che non parteggia per nessuno dei due candidati, non sapendo chi sia peggio e chi sia meglio.
Cari intellò,
il problema siamo noi. Se mi domandassero, ad esempio, per chi voterei il prossimo 5 novembre, risponderei Harris, ma non chiedetemi pure l’entusiasmo perché non me ne suscita neanche un po’. Allo stesso modo, in Francia avrei partecipato allo schieramento repubblicano anti-Le Pen, ma penso che Macron, che più volte ha beneficiato del senso di responsabilità della sinistra, salvo poi delegittimarla ed escluderla dalle cariche che le spetterebbero per non mettere in discussione i suoi fallimenti, sia migliore.
Cari intellò, direi care colleghe e colleghi,
Trump, quando apparentemente delira, non parla a noi che inorridiamo seduti sul divano. Parla a chi si sente escluso, denigrato, abbandonato, tradito e non è più disposto a credere in una democrazia e in dei valori che non reputa tali. Ribadisco: c’è in questa furia belluina un che di inaccettabile ma negarne in blocco le ragioni, in nome della nostra presunta superiorità morale, non fa che alimentarla. E anche questa, ahinoi, non è una novità.
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