Quando domenica mattina le forze di occupazione israeliane hanno chiuso a Ramallah, in Cisgiordania, la sede di Al Jazeera, uno degli ultimi network internazionali a raccontare la devastante guerra in corso, l’azione repressiva contro la stampa libera ha compiuto un ulteriore, grave, salto di qualità.
Carri armati si sono avvicinati alla sede della redazione centrale, circondandola in un vero e proprio assedio. Poi, militari armati, in tenuta di guerra, hanno fatto irruzione negli uffici e, con le mitragliatrici spianate, hanno consegnato ad un attonito direttore, Walid al-Omari, l’ordine di chiusura per 45 giorni, nonché di evacuazione immediata dell’edificio.
Il Ministro israeliano per le Comunicazioni, Shlomo Karhi, ha riferito che il governo ha decretato la chiusura degli uffici di Al Jazeera in Israele, nonchè la confisca dei documenti e delle apparecchiature per le trasmissioni, per impedire le trasmissioni via cavo e via satellite, inoltre ha bloccato i suoi siti web, accusando l’emittente di essere uno strumento di Hamas.
La chiusura arriva dopo l’approvazione, ad aprile, da parte del Parlamento israeliano, di una legge che consente di chiudere i media stranieri, se ritenuti un pericolo per la sicurezza del paese.
Il reporter palestinese Abu Shaqra ha documentato i momenti concitati dell’arrivo dei blindati per le strade della città e dei militari nella sede dell’emittente, che da quel tragico 7 ottobre sta testimoniando l’occupazione della Striscia di Gaza. I suoi reporter quotidianamente diffondono le notizie e le immagini sempre più terrificanti che provengono da questa terra martoriata.
Soprattutto, Al Jazeera contribuisce a testimoniare al mondo, giorno per giorno, le continue violazioni dei diritti umani commesse dai soldati israeliani nei confronti dei civili, soprattutto negli ultimi giorni a Khan Younis. Un filmato diffuso mostra un civile, disarmato, costretto dai soldati israeliani a spogliarsi in strada; un altro video, terrificante, mostra il momento in cui un drone colpisce due uomini inermi, facendoli letteralmente esplodere, così, senza alcun motivo. E poi la distruzione sistematica e diffusa delle infrastrutture di Gaza e delle città della Striscia, le case sventrate, le condizioni terribili a cui sono costretti i cittadini, la fame, la mancanza d’acqua diventata cronica, le malattie sempre più endemiche, gli ospedali danneggiati, le scuole distrutte. Tutto viene ripreso e diffuso dalle immagini e dalle inchieste, anche in presa diretta, dei giornalisti e dei cameramen.
Ma quanto è stato testimoniato giovedì scorso è andato oltre ogni umana comprensione: un reporter ha filmato il momento in cui tre soldati israeliani salgono sul tetto di una casa, in una cittadina vicino a Jenin, e gettano di sotto i cadaveri di alcuni uomini che si erano rifugiati lì per sfuggire alle pallottole, dopo averli presi a calci. Quello che colpisce è la fredda lucidità, la pietà che manca, la disumanità, è uno scempio documentato.
Naturalmente Israele ha avviato un’inchiesta per giudicare eventuali violazioni, ma intanto chiude l’emittente colpevole di aver diffuso la notizia e le immagini, continuando nella politica di repressione della libertà dei media.
Ancora una volta il target è l’informazione, che viene imbavagliata completamente, in una modalità senza precedenti, dopo aver pagato già un altissimo tributo di sangue. Negli ultimi mesi a Gaza e in Cisgiordania sono morti 122 giornalisti, 66 fotoreporter sono stati imprigionati, moltissimi hanno subito intimidazioni e violenze, anche sulle proprie famiglie, come è stato per il capo dell’ufficio di Al-Jazeera per Gaza Wael Al Dahdouh, che ha perso quattro familiari nel bombardamento della sua casa a Nuseirat.
I giornalisti e i videoreporter palestinesi sono gli unici testimoni che possono rivelare le prove di potenziali crimini di guerra, dato che ai media stranieri è stato quasi del tutto impedito di entrare a Gaza, se non come inviati “embedded” delle forze israeliane.
Nel 2019 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 28 settembre “Giornata internazionale per l’accesso universale alle informazioni”, ritenendo l’accesso alle informazioni come diritto umano fondamentale, riconoscendone il ruolo nello sviluppo, nella democrazia e nell’uguaglianza. Mettere a tacere la libera voce dell’informazione è un crimine grave da parte di Israele, un’aperta violazione del diritto internazionale all’informazione.