Da quando i talebani sono tornati al potere, nell’agosto 2021, l’Afghanistan è entrato in una spirale discendente di violazioni dei diritti umani.
Le donne sono bandite da tutte le dimensioni sociali della vita, torture e maltrattamenti, detenzioni arbitrarie, sparizioni forzate, censura, pene corporali come le frustate continuano con assoluta impunità. Sono applicate gravi restrizioni ai diritti alla libertà di espressione, di riunione pacifica e di partecipazione politica delle donne. L’assenza di una magistratura indipendente aggrava ulteriormente questi problemi, lasciando le vittime senza alcun ricorso alla giustizia.
I talebani negano le accuse sostenendo che stanno rispettando la shariah (le leggi islamiche) e “la cultura afgana”. I decreti e le politiche di tipo repressivo e limitativo che erano stati adottati ufficialmente come misure temporanee per assicurare l’incolumità delle persone, soprattutto delle bambine e delle donne, dopo tre anni sono ancora in vigore. Sono oltre 100.
Si parla ormai di apartheid per motivi di genere, un concetto che è stato articolato per la prima volta dalle difensore dei diritti umani dell’Afghanistan e dalle loro alleate femministe quando, negli anni Novanta, i talebani sottomisero le donne e le ragazze e ne attaccarono sistematicamente i diritti. Oggi è ancora più urgente rispondere, anche dal punto di vista giudiziario, a questo crimine.
Mentre la popolazione afgana rimane intrappolata in questo incubo senza fine, la comunità internazionale non sta riuscendo a prendere alcuna azione significativa.
Sul sito
amnesty.it è possibile firmare
l’appello di Amnesty International al governo italiano perché faccia pressione sui talebani affinché rispettino e proteggano i diritti delle donne e delle ragazze, pongano fine alla persecuzione di genere e consentano alle donne di partecipare in modo significativo alla vita sociale, politica e culturale del paese.
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