Arrivai in Iraq alcuni giorni dopo l’omicidio di Enzo Baldoni. All’epoca la Rai aveva predisposto la turnazione dei giornalisti delle varie testate per garantire continuità informativa su un paese funestato da attacchi, attentati terroristici e sequestri. Il collega del Tg1 Pino Scaccia faceva la “guardia al bidone” della incandescente violenza irachena quando Enzo fu rapito.
Seguii quindi tutte le fasi successive: le voci del ritrovamento del corpo (di cui solo nel luglio 2005 la Croce Rossa riuscì ad entrare in possesso di un frammento osseo), ipotesi su chi avesse compiuto effettivamente il sequestro e con quali finalità.
Prima di partire per Baghdad, ebbi però modo di collezionare alcune perle nere (anzi nerissime) che ci regalarono alcuni giornali per intorbidire le acque già oscure di una vicenda che a distanza di 20 anni non ha trovato risposte compiute. “Vogliamo dirlo è un simpatico pirlacchione. Lo scriviamo tremando. Sappiamo che ci sono moglie, genitori e fratelli in lacrime. Desideriamo gli sia restituito vivo e vegeto. Evitiamoci le tirate patetiche però. Signori di Al Qaeda, proprio dal vostro punto di vista, non vale la pena di ammazzarlo. Restituitecelo, farà in futuro altri danni all’Occidente come testimonial della crudeltà capitalistica. Vedendo com’era attrezzato, i rapitori hanno dubitato fosse davvero un giornalista”. Così scriveva il 24 agosto 2004 (3 giorni dopo il sequestro) Renato Farina, vicedirettore di “Libero”, più noto come “agente Betulla” negli ambienti dei servizi segreti da cui era stipendiato, accontentandosi talvolta anche di ingressi di favore negli stadi: un giornalista che non disdegnava di mettere la penna al servizio dei servizi. Una tardiva lettera di scuse non è bastata ad ottenere neanche una riposta dalla famiglia Baldoni. Comincia così la delegittimazione umana, politica e professionale di Enzo Baldoni, descritto come un dilettante allo sbaraglio. Il 27 agosto 2004 scende in campo addirittura Vittorio Feltri, direttore di Libero: “Già ieri abbiamo scritto: un uomo della sua età, moglie e due figli a carico, avrebbe fatto meglio a farsi consigliare da Alpitour, anziché dal Diario (il settimanale per cui scriveva Baldoni) la località dove trascorrere vacanze sia pure estreme (si dice così?). Evidentemente, da buon giornalista della domenica egli ha preferito cedere all’impulso delle proprie passioni insane per l’Iraq piuttosto che adattarsi al senso comune”. Parole pesanti come montagne non furono risparmiate neanche alla notizia della sua morte. “Colpo in testa a Baldoni – I terroristi islamici uccidono il giornalista italiano che cercava brividi in Iraq – I rapitori non hanno esitato a sparargli anche se era amico loro e antiberlusconiano” : questa la prima pagina di “Libero”.
Ma anche su “la Repubblica” fece capolino un articolo del giornalista Luca Fazzo, anche lui in contatto con i servizi e per questo costretto successivamente a lasciare il giornale, che cinguettava ispirato dalle barbe finte : “Se Baldoni riapparisse, dice uno degli uomini che in queste ore si stanno dannando per salvarlo, sarebbe lui a doverci qualche spiegazione”.
Questa campagna di stampa per demolire Baldoni è stata orchestrata per coprire i molti interrogativi che a distanza di 20 anni non hanno trovato risposta. Il sequestro Baldoni presenta molte anomalie: il diktat all’Italia di abbandonare il paese entro 48 ore assume i connotati del paradosso per una organizzazione terroristica che ben conosce grammatica e sintassi della gestione di un sequestro politico che ha tempi e modalità da rispettare, sicuramente più lunghi dei pochi giorni di detenzione dell’ostaggio. Le molte informazioni taciute e nascoste dai soggetti coinvolti nell’affaire, gli imbarazzi delle autorità. La morte di Enzo Baldoni è l’ ennesimo capitolo nero della travagliata storia della democrazia italiana, allora come oggi fragile di fronte agli attacchi di quanti tramano per azzopparla.