“Un romanzo avvincente, magistralmente costruito, in cui tutti i pezzi del puzzle troveranno il loro incastro perfetto soltanto all’ultima pagina. Un noir dai continui colpi di scena che terranno il lettore letteralmente incollato ad ogni singola pagina”.
“Mi ammazzerà! Ha sentito cos’ho detto, signor Vidame? Mio marito mi ammazzerà!…….L’hai ripetuto almeno tre volte Mamma”
E’ questo l’incipit dell’ultimo romanzo di Michel Bussi: “Ophélie si vendica”, edizioni e/o (pagg. 384 €18).
Rouen, aprile 1983, la piccola Ophélie, di appena sette anni, assiste all’ultima straziante richiesta d’aiuto della madre, Maja, rivolta al Sig. Vidame, l’assistente sociale delegato alla tutela della famiglia Crochet. Un’invocazione d’aiuto indirizzata all’unica persona in grado di proteggere Maja e la piccola Ophélie da un marito e padre violento: “..voglio solo un po’ di soldi, signor Vidame, solo un po’ di soldi. Quando mio marito tornerà me li chiederà, e se non gli do qualcosa per comprarsi da bere mi ammazzerà….Maja, non le darò i soldi, lo faccio per il suo bene e per quello di suo marito. Proteggervi è il mio lavoro”.
E così, il destino, infausto, della famiglia Crochet stava per compiersi, nel disinteresse delle istituzioni preposte alla sua protezione. Nessuno a proteggere Maja, nessuno a proteggere Folette (il nomignolo della piccola Ophélie utilizzato da una madre amorevole). Ed è di fronte all’incurante disinteresse mostrato dal Sig. Vidame rispetto alle richieste di Maja che in Folette inizierà ad affacciarsi un sentimento di astio verso l’assistente sociale, che ben presto si tramuterà in un odio ossessivo. Era il Sig. Vidame che doveva proteggere la mamma, soltanto lui, e non ha fatto niente. Avrebbe potuto e dovuto salvarla! E’ lui l’unico colpevole: Richard Vidame!
Il corpo di Maja verrà ritrovato quella stessa sera, steso sull’asfalto della superstrada, tre metri sotto il ponte, con le braccia larghe. A poca distanza, adagiato sul ponte, il corpo di Jo, il marito di Maja, intontito dai fumi dell’alcool e forse da altro. Era questa la scena che si è trovata di fronte Folette quando a cercato di raggiungere i suoi genitori che si rincorrevano l’un l’altra dopo quell’ultimo, furibondo, litigio.
Ed è stato Jo ad uccidere Maja, a buttarla dal ponte della superstrada; almeno questa è la rapida ed evidente conclusione delle indagini svolte della polizia, a cui ha fatto seguito la condanna, e la conseguente reclusione di Jo per uxoricidio.
Parallelamente, alla giovanissima Folette si apriranno, al contrario, le porte di un Istituto di accoglienza per minori, affidata alle cure del personale ivi preposto sino alla maggiore età. Ed è proprio in questi anni che il desiderio di vendetta di Folette crescerà sempre più, sino a diventare ben presto la sua unica ragione di vita: farla pagare al signor Vidame! il solo responsabile della morte dell’adorata mamma. Eppure, in questi anni dolorosi, Folette avrà modo di misurarsi con un sentimento altro, quello dell’amicizia, quella vera, quella duratura, il quale, purtuttavia, non potrà scalfire il suo desiderio di vendetta. Ma questi sono anche gli anni in cui Folette cercherà di ricostruire gli ultimi minuti di vita della madre: quel brevissimo lasso di tempo intercorso tra la fuga da casa e l’arrivo al ponte sull’autostrada, dove il suo destino si sarebbe compiuto. Minuti in cui Folette aveva cercato di raggiungere la madre, per cercare di proteggerla da quell’uomo violento che si era impossessato del corpo del padre, il che accadeva quando era in preda ai fumi dell’alcol.
Quella sera qualcuno doveva aver visto qualcosa! Perché nessuno si era fatto vivo con la polizia? Un delitto senza testimoni?, non in quel quartiere!
Un romanzo avvincente, sapientemente, con un finale mozzafiato, fatto di continui colpi di scena, e solo all’ultima pagina i pezzi del puzzle potranno ricongiungersi tutti, plasticamente.
Ma il romanzo di Bussi è anche un caleidoscopio di sentimenti, rappresentati mirabilmente, come: l’odio, l’amore, l’amicizia. A nessuno è dato scegliere quale di questi sentimenti possa prevalere; sono, infatti, le circostanze della vita a decidere per noi, ma è pur vero che gli stessi, in qualche modo, coesistono, in un connubio a volte inestricabile. Ma non solo, da segnalare anche la tecnica narrativa utilizzata dall’ autore:
il racconto della protagonista, o dei personaggi secondari, in forma diretta, quasi a voler instaurare un dialogo diretto con il lettore.
Un racconto ambientato nell’arco di poco più di un decennio, che va dal 1983 al 1995, anno quest’ultimo in cui le proteste studentesche ed operaie diedero vita alla più vasta contestazione della storia del paese: quella contro il piano del Primo ministro Juppé sulle pensioni e la sicurezza, e contro i tagli all’Università. Una riedizione del “maggio francese”.
Michel Bussi (classe 1965) è uno degli autori francesi di gialli più venduto e tradotto oltralpe. A partire dal suo esordio nella narrativa, il 2006, ha scritto più di dieci romanzi appartenenti al genere giallo tradotti in tutto il mondo. Di questi, “Ninfee nere” (Edizioni E/O) è stato il romanzo che nel 2011 ha avuto il maggior numero di premi: Premio Michel Lebrun, il Grand Prix Gustave Flaubert, per citarne soltanto alcuni, Qui la nostra recensione.