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Non dimenticare Hiroshima e Nagasaki

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Settantanove anni fa, il 6 e il 9 agosto 1945, Little boy e Fat man (ragazzino e grassone) si chiamavano le due bombe atomiche sganciate sul centro della città di Hiroshima e sulla zona industriale di Nagasaki dall’aeronautica USA. (oltre trecentomila morti subito …)

Sappiamo che gli Stati Uniti avevano avviato il progetto Manhattan (l’atomica) prima che lo facesse Hitler ma che, quando fu chiaro che il programma atomico tedesco era fallito, iniziarono a sostenere che le armi andavano fabbricate prima che lo facesse l’URSS”. La scelta di sganciare le bombe su due città del Giappone a guerra praticamente conclusa e vinta: un segnale concreto della supremazia americana da far pesare nelle trattative post belliche.

Quelle bombe mostrarono al mondo come la guerra non poteva più essere considerata la prosecuzione della politica con altri mezzi (“Della guerra” di Carl von Clausewitz). Le nostre madri e nostri padri costituenti con l’articolo 11 della Costituzione “ripudiano la guerra”.

Inascoltati così come l’appello/Manifesto del 1955 di Albert Einstein Bertrand Russel insieme ai più grandi scienziati e altri premi Nobel.

“…La maggior parte di noi non è neutrale, ma in quanto esseri umani dobbiamo tenere ben presente che affinché i contrasti tra Oriente e Occidente si risolvano in modo da dare una qualche soddisfazione a tutte le parti in causa, comunisti e anticomunisti, asiatici, europei e americani, bianchi e neri, tali contrasti non devono essere risolti mediante una guerra … … Ci appelliamo, in quanto esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità, e dimenticate il resto … … Questo è dunque il dilemma che vi sottoponiamo crudo, spaventoso e ineludibile. Dobbiamo porre fine alla razza umana o deve l’umanità rinunciare alla guerra? …”

Nel mondo oggi sono attivi oltre cinquanta conflitti, il numero più grande dopo la seconda guerra mondiale. È il dato che emerge dall’edizione 2024 del Global peace index, pubblicato a giugno dall’Institute for Economics & Peace.

La spesa militare mondiale è aumentata per il nono anno consecutivo raggiungendo il massimo storico di 2.443 miliardi di dollari nel 2023 (+6,8% rispetto al 2022). Per la prima volta dal 2009, le spese per l’acquisto di armi e servizi militari sono aumentate in tutte e cinque le regioni geografiche definite dal SIPRI, l’Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma, con aumenti particolarmente elevati in Europa, Asia, Oceania e Medio Oriente. 

Attualmente i Paesi che dichiarano di possedere armi atomiche sono: Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Regno Unito, Pakistan, India, e Corea del Nord.

A parte si colloca Israele, che ufficialmente non ha mai né confermato né negato di possedere armi nucleari, …

La spesa militare russa è aumentata del 24% raggiungendo una stima di 109 miliardi di dollari nel 2023, segnando un aumento del 57% rispetto al 2014, anno in cui la Russia ha annesso la Crimea. Nel 2023 la spesa militare russa rappresentava il 16% della spesa pubblica totale e il suo onere militare (spesa militare in percentuale del prodotto interno lordo, PIL) era del 5,9%.

2023: i 31 membri della NATO rappresentavano 1.341 miliardi di dollari, pari al 55% della spesa militare mondiale. La spesa militare degli Stati Uniti è aumentata del 2,3% per raggiungere i 916 miliardi di dollari nel 2023, pari al 68% della spesa militare totale della NATO.

Nel 2023 la maggior parte dei membri europei della NATO ha aumentato le proprie spese militari.

La Cina, secondo Paese al mondo per spesa militare, ha stanziato circa 296 miliardi di dollari per le forze armate nel 2023, con un aumento del 6,0% rispetto al 2022.

La spesa militare stimata in Medio Oriente è aumentata del 9,0% raggiungendo i 200 miliardi di dollari nel 2023. Si tratta del tasso di crescita annuale più alto registrato nella regione negli ultimi dieci anni.

La spesa militare israeliana, la seconda più grande nella regione dopo l’Arabia Saudita, è cresciuta del 24% per raggiungere i 27,5 miliardi di dollari. L’aumento della spesa è stato principalmente guidato dall’offensiva su larga scala di Israele a Gaza in risposta all’attacco di Hamas nell’ottobre 2023.

In “Pensare la guerra per una cultura di pace” (1985). Umberto Curi propone una riflessione su come è stato pensato il legame tra la politica e la guerra nei secoli: un contributo per capire che solo la politica può produrre trasformazioni e cambiamenti, interrompendo il legame politica guerra e declinando una stretta relazione tra politica e pace, vera e unica potenza di trasformazione.

È possibile un mondo senza guerra? Possiamo forse ancora solo pensarlo come Utopia, l’isola (descritta da Tommaso Moro) che ancora non c’è ma che potrà esserci. Importante il pensiero di pace formulato da Virginia Woolf nell’agosto del 1940, in un saggio breve dal titolo: Pensieri di pace durante un’incursione aerea. Sono pensieri che nascono in presa diretta, mentre gli aerei della Wehrmacht tedesca scorrazzavano sopra il cielo di Londra, scaricando il loro micidiale paniere di bombe. Virginia si interroga su come sia possibile “lottare senza armi per la libertà” e trova subito la risposta: “Possiamo lottare con la mente; fabbricare delle idee”.

E aggiunge: “Lottare mentalmente significa pensare contro la corrente e non a favore di essa”. La sua riflessione si sofferma poi sulla parola “disarmo”, considerata condizione imprescindibile per la pace. Ma Virginia ha consapevolezza che il “disarmo” non si realizza dall’oggi al domani: va preparato gradualmente, esige una trasformazione sociale, economica e delle coscienze, in parole semplici bisogna far mettere radici ad una forma mentis alternativa a quella dominante: la guerra è una follia degli uomini, uscire dalla logica patriarcale – aveva sostenuto nel saggio Three Guineas (Le tre ghinee) scritto qualche anno prima.

Sul finire dell’anno 2021 oltre 50 premi Nobel (tra i quali: Giorgio Parisi e Carlo Rubbia) hanno firmato l’appello: Un Dividendo Per La Pace, insieme ad accademici e scienziati, come i fisici Carlo Rovelli e Matteo Smerlak che l’hanno promosso organizzandone la diffusione.

È rivolto ai governi di tutti gli Stati delle Nazioni Unite. Propone una riduzione concordata della spesa militare del 2 per cento ogni anno. E con quelle risorse propone di “prendersi cura” del pianeta e delle disuguaglianze insopportabili. La spesa militare, a livello globale, è enorme. La corsa agli armamenti conduce a un’unica conseguenza: lo scoppio di guerre sanguinose e devastanti. Dopo l’aggressione della Russia di Putin all’Ucraina, l’atto terroristico di Hamas contro Israele e la guerra “totale” scatenata contro il popolo palestinese da parte di Netanyahu sarebbe necessario e utile rilanciare la proposta in Italia e in Europa mettendola in campo anche nei parlamenti e nelle istituzioni con proposte di cessate il fuoco subito, tregua e di negoziato per arrivare alla pace. Fermare i crimini di guerra riconosciuti anche con delibere della Corte Penale Internazionale

“Tutti dicono pace, ma aggiungono che bisogna vincere per fare la pace, solo che volere la pace dopo la vittoria vuol dire volere la guerra”. A dirlo sul palco del concerto del 1 maggio 2023 è stato il fisico Carlo Rovelli, nel monologo dedicato alla pace, contro la guerra e in polemica col ministro della Difesa che, ha ricordato Rovelli, “è stato vicinissimo a una delle più grandi fabbriche di armi nel mondo.. È stato altresì presidente della federazione dei costruttori di armi. Ma il ministero della Difesa deve servire per difenderci dalla guerra, non per fare i piazzisti di strumenti di morte. …” Sono parole dure ma veritiere. Perchè si sa che se si fabbricano armi, si vendono (anche con traffici illeciti), è per usarle. E con le armi si uccide.

Ma potremmo perdere tutti: c’è il rischio che i conflitti si allarghino pericolosamente in Europa e nel medio oriente alzando il livello della guerra evocando armi atomiche tattiche “di potenza minore”, dicono (ma alcune delle quali sono almeno più di quindici volte la potenza di quelle usate a Hiroshima e Nagasaky).

Dunque ascoltiamo Gabriel Garcia Marquez, premio Nobel per la letteratura 1982 con “Cent’anni di solitudine”, ricordando Hiroshima e Nagasaki il 6 agosto 1986: …“Dalla comparsa della vita visibile sulla terra dovettero trascorrere trecentottanta milioni di anni per fabbricare una rosa senza altro impegno se non quello di essere bella, e quattro ere geologiche perché gli esseri umani … fossero in grado di cantare meglio degli uccelli e di morire per amore.

Non è per nulla dignitoso per il talento umano, nell’epoca aurea della scienza, aver concepito il modo di far regredire verso il nulla da cui proviene un processo multimillenario così dispendioso e colossale grazie alla semplice arte di schiacciare un pulsante”

 


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