Nino Agostino, giovane e capace agente di Polizia, assassinato il 5 agosto 1989

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E’ il primo anniversario della strage di Villa Grazia di Carini senza Vincenzo e senza Augusta: la responsabilità della ricerca della verità sta oggi su chi ha voluto loro bene e crede ancora nella democrazia.

Nino Agostino, giovane e capace agente di Polizia, venne assassinato il 5 Agosto del 1989, insieme alla moglie Ida Casteluccio, da un commando mafioso che attendeva nei pressi della casa al mare dove si erano recati per il compleanno della sorella di Nino, Flora.

Da allora sono passati 35 anni, la famiglia di Nino ha pagato un prezzo altissimo nella tenace ricerca di verità, Vincenzo ed Augusta sono stati punti di riferimento preziosi per tutto il movimento anti mafia con la loro generosa fermezza. Come ha scritto recentemente Nando Dalla Chiesa, Vincenzo ed Augusta ci hanno insegnato come si possa restare umani dopo essere sopravvissuti ad una violenza insopportabile. E come si possa continuare a credere nella giustizia, nonostante tutto.

I due ultimi processi celebrati in ordine di tempo, che vedono come principali imputati i mafiosi Madonia e Scotto sono stati un balsamo per Vincenzo: qualche “pezzo” di verità è stato finalmente messo al posto giusto, almeno relativamente all’esecuzione dell’attentato.

Ma altri “pezzi” restano purtroppo ancora avvolti nell’oscurità e sono i “pezzi” che più inquietano coloro che non cercano una verità “sostenibile” cioè rassicurante perché descrive una scena dove i “cattivi” sono certamente e soltanto i mafiosi patentati ed i “buoni” sono certamente e soltanto i rappresentanti dello Stato, ma la “verità”, punto. Magari senza “v” maiuscola, per carità, però quella verità che non si lascia ridurre al rango di un punto di vista, ragionevole ma sempre opinabile, perché rivendica la conoscibilità della realtà come premessa teorica.

I “pezzi” mancanti, almeno nella sanzione della giustizia penale, riguardano i depistaggi, che sicuramente vennero posti in essere immediatamente dopo la strage e non da mafiosi ma da uomini delle Istituzioni. Riguardano le carte fatte sparire, le pressioni fatte perché Vincenzo accettasse spiegazioni di comodo, che passarono persino, lascia sgomenti soltanto evocarlo, dalla foto di Scarantino (sì, proprio quello Scarantino che anni dopo sarebbe servito per costruire il “più grande depistaggio della storia repubblicana” sulla strage di Via D’Amelio!) sottoposta con insistenza all’attenzione di Vincenzo perché vi riconoscesse uno degli esecutori materiali del delitto. Passa attraverso il ruolo, mai chiarito, dell’agente di Polizia Giovanni Aiello, per molti “Faccia di mostro”, improvvisamente e tempestivamente morto sulla spiaggia della sua Calabria nel 2017, dopo essersi finalmente sottoposto a riconoscimento diretto in Tribunale da parte di Vincenzo, che non ebbe indugi nel puntare il dito contro di lui. Ero con Vincenzo quella mattina a Palermo e non dimenticherò mai il suo sguardo, quello di chi ha visto il vero.

La “verità” resta il nostro dovere e resta anche, come sempre, la grande posta del potere. La giustizia penale ha i propri rigorosi protocolli per arrivare alla così detta “verità processuale”, che non è una opinione, ma che al contempo non può esaurire la descrizione vera della realtà, proprio per la precisa funzione che interpreta, a sua volta tanto importante quanto parziale.

Ed allora chi ha titolo per dire qual è la verità?

Non mi avventuro io nella risposta, c’è chi ha più titoli di me per farlo.

Mi permetto soltanto di segnalare un pericolo che mi pare stiamo vivendo in questo tempo di “verità alternative”, per citare le sagge parole di Paolo Bolognesi durante la commemorazione della strage di Bologna soltanto qualche giorno fa. Ed il pericolo è quello che il “modo” con cui si tenti oggi di far passare queste “verità alternative” (su Bologna come sulle stragi di mafia) sia quello della falsa prospettiva tra elementi di per se’ reali. Avete presente quelle foto che vanno molto sui social soprattutto d’estate: dove, per esempio, c’è il bambino che “regge” la Torre di Pisa, oppure la ragazza che “tiene in mano” la luna? Chi potrebbe dire che il bambino non è vero o che non sia vera la Torre di Pisa, o la ragazza o la luna? Tutto è vero, ma è falsa, irreale, l’immagine prodotta dalla prospettiva scelta da chi scatta la foto. E’ la prospettiva in cui vengono messi gli elementi che falsifica l’immagine risultante. Se è per una foto d’effetto sui social, evviva! Se è per spiegare stragi, bombe e processi invece è un crimine contro la democrazia. E’ eversione.


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