La responsabile della direzione Marketing della Rai, Roberta Lucca, ha recentemente esposto, con dovizia di dati, al giornalista Claudio Pezzotta sul quotidiano Italia Oggi, i problemi dell’azienda legati agli ascolti.
La dirigente rimarca le differenze fra la Rai e Mediaset. Due aziende che operano su mercati similari ma che hanno “vocazioni imprenditoriali” diverse. Ciò comporta che Rai debba preoccuparsi di rivolgersi all’intera popolazione, mentre Mediaset privilegia il cosiddetto target commerciale 15-64anni in quanto il più profittevole dal punto di vista pubblicitario. Per quanto riguarda gli ascolti, la dirigente sottolinea che il confronto va fatto più correttamente fra le tre reti generaliste della due aziende, dove ancora la Rai seppur di poco, primeggia, mentre è scorretto considerare le reti “tematiche” in quanto nel caso Rai esse hanno una vocazione prevalentemente di servizio (come RaiStoria, RaiScuola, mentre il fatto che RaiYoYo sia senza pubblicità non va considerato un limite, semmai un merito del vertice Rai del 2016 che fece autonomamente questa felice scelta). L’altra “accusa” alla Rai è l’invecchiamento del suo pubblico. Nella fascia di età 25-54anni, Mediaset ha ottenuto nel 2023 una share del 44% contro il 30% di Rai, un divario abissale. La giustificazione deriverebbe dal fatto che la Rai in quanto servizio pubblico non può privilegiare particolari target, ma deve rivolgersi giustamente all’intero pubblico.
Da rilevare che sempre più spesso la “magica” parola “servizio pubblico” serva per giustificare le evidenti responsabilità dell’azienda.
Rai e Mediaset operano su mercati limitrofi, pur essendo realtà diverse. Mediaset è una media company, con sede nei Paesi Bassi e quotata in Italia, e con presenze significative in Spagna e Germania. La Rai, sotto l’aspetto gestionale, è scivolata sempre più nell’area pubblicista, una sorta di ente della pubblica amministrazione che ne limita l’operatività. Per esempio gli appalti oltre una certa cifra devono avere una rilevanza europea e ciò restringe di gran lunga il funzionamento dell’azienda. Un’azienda di interesse nazionale come la Rai, dovrebbe essere più libera (con annesse maggiori responsabilità) nella gestione: la Rai ha indubbiamente un vantaggio derivante dal riscuotere il canone, una risorsa fuori mercato in quanto ha una natura tributaria, ma la sua attività gestionale è limitata. Il mercato sul quale opera è simile per tutti gli operatori, si pensi agli acquisti di format, alla contrattualizzazione degli artisti, alla acquisizione dei diritti, alla contrattualizzazione degli inserzionisti, ma è indubbio che la Rai sia un operatore dimidiato rispetto agli altri soggetti privati.
Questo è il vero limite della Rai; nel mercato rischia di arrivare sempre seconda.
Veniamo alla questione degli ascolti.
Per quanto riguardano le tre reti generaliste, Rai mantiene ancora la supremazia anche se è ridotta al lumicino. Nell’anno in corso Rai ha goduto di eventi forti: Sanremo di Amadeus (14,9milioni gli ascoltatori medi delle cinque serate), gli europei di calcio (5,2milioni gli ascoltatori medi delle 31partite trasmesse da Rai, 11,7milioni la media della quattro partite dell’Italia), e per finire le Olimpiadi, che stanno risollevando dal lungo torpore Raidue. Senza questi eventi, in particolare Sanremo, gli ascolti delle tre reti generaliste della Rai su base annua sarebbero inferiori rispetto al diretto concorrente. Lo sono già considerando l’offerta di tutti i canali, compresi quelli denominati tematici. È vero che alcuni canali sono per Rai istituzionali e che non possono non avere ascolti insignificanti, però ci sono anche canali che meglio utilizzati potrebbero ottenere risultati migliori. Il problema è che vengono spesso sottovalutati nelle strategie dell’offerta.
È vero che la Rai deve avere una vocazione “ecumenica”, deve cioè rivolgersi a tutti senza privilegiare target particolari. L’invecchiamento del suo pubblico, in linea peraltro con la tendenza naturale del consumo televisivo, è ben superiore a tutti i networks. L’età media del Tg1 serale, per esempio, è pari a 63anni (54 per il Tg5), e ciò vuol dire che la stragrande maggioranza dei giovani non lo guarda. Sanremo di Amadeus e la serie Mare Fuori sono i pochi programmi che hanno intercettato l’interesse dei giovani. Molti ritengono che l’invecchiamento del pubblico della Rai sia l’effetto della sua “sciatta” programmazione.
Già in autunno esploderanno i problemi per la Rai (che da sempre propone i migliori programmi nella prima parte dell’anno). La Rai ha sempre avuto tre obiettivi, finora raggiunti: la supremazia negli ascolti del gruppo, quella di Raiuno e del Tg1 serale. Il primo lo sta perdendo, ed anche gli altri due sono a rischio. Aver smantellato Raitre ha causato un doppio effetto: quello di aver agevolato il passaggio del suo storico pubblico ai concorrenti, e quello di aver eliminato dall’offerta quei “valori” culturali che, indirettamente, “giustificavano” il pagamento del canone (il canone è una tassa, ma è soprattutto un “legame” col pubblico, legame che se si dovesse recidere creerebbe problemi non indifferenti). La programmazione del servizio pubblico non può sorreggersi solo, come avviene adesso, con i quiz o programmini di comicità!
Unico aspetto positivo del declino della Rai, è che il mercato si sta ampliando, aumenta la concorrenza e di riflesso nuovi “programmi-autori” si affermano. Ma se calano gli ascolti, precipiteranno anche i ricavi, ad iniziare dalla pubblicità.
La dirigente citata inizialmente afferma giustamente che la “sfida degli ascolti è un concetto vintage. Ormai le vere partite commerciali sono quelle che vedono sfidarsi le piattaforme», che raccolgono gran parte del gettito pubblicitario, agendo spesso senza regole.
Gli indicatori degli ascolti si sono modificati nel tempo, ed è errato utilizzarli in modo avulso alle diverse tipologie di offerte mediali. L’Auditel non “copre” tutto il consumo mediale. Vale sempre però la regola che per qualsiasi mezzo e per qualsiasi tipologia di offerta, il pubblico deve essere raggiunto in misura superiore ai concorrenti.
Riuscirà questa “brutta” Rai ad avere una presenza ancora significativa nel nuovo mondo della comunicazione audiovisiva, oppure è iniziato il suo declino? Una cosa è certa: la Rai per salvarsi deve profondamente cambiare.