Il 7 maggio il ministero degli Affari esteri, di concerto con quelli dell’Interno e della Giustizia, ha emanato un decreto che ha aggiornato e ampliato l’elenco dei paesi di origine sicuri: quelli le cui persone non hanno requisiti per chiedere protezione internazionale e che, se soccorse da navi di stato italiane, potrebbero finire nei centri di detenzione in Albania una volta aperti.
Il decreto di maggio ha incluso in tale elenco Camerun, Colombia, Egitto, Perù, Sri Lanka e Bangladesh.
Non trascurando le preoccupazioni rispetto alla situazione dei diritti umani negli altri paesi dichiarati sicuri, una serie di organizzazioni non governative italiane* ha chiesto al governo italiano di escludere il Bangladesh.
I motivi sono evidenti: da oltre un mese nelle strade del Bangladesh è in corso un bagno di sangue nei confronti delle proteste di massa contro il ripristino della controversa quota del 30% nei posti di lavoro governativi riservati ai discendenti dei veterani della guerra per l’indipendenza del 1971. Questa quota, precedentemente abolita nel 2018 a causa di proteste simili, è vista da molte persone, in particolare dagli studenti universitari, come un favore sproporzionato per i sostenitori del partito al governo.
I morti sono ormai centinaia e decine di migliaia le persone arrestate. La situazione, dopo che la prima ministra Sheikh Hasina ha lasciato il paese e rassegnato le dimissioni, sono incerte e nelle mani delle forze armate.
*Le prime organizzazioni firmatarie: A Buon Diritto Onlus APS, ActionAid Italia ETS, Amnesty International Italia, ARCI, CIES ONLUS, Cnca, Europasilo – Rete Nazionale per il Diritto d’Asilo, FONDAZIONE MIGRANTES, International Rescue Committee Italia, Italiani Senza Cittadinanza, Melting Pot Europa, Mes·dhe, RECOSOL e Refugees Welcome Italia.
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