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Informazione vietata in Italia, prima di Cartosio lo aveva detto l’Europa

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«In questi giorni mi sono trincerato nel silenzio, non ho risposto alle domande rivolte dai giornalisti, ma l’ho fatto semplicemente perché è giusto che si sappia che in Italia non è consentito fare diversamente, perché il decreto 106 del 2006 vieta al procuratore della Repubblica di fare dichiarazioni se non in occasioni particolari. Si possono utilizzare solo il comunicato stampa e la conferenza stampa. La legge crea ostacoli notevoli all’attività della libera informazione, ma credo che tutti i cittadini, anche i magistrati, sono tenuti a rispettare le leggi anche quando non piacciono, ecco perché non ho potuto dire nulla. Spero ci sia comprensione». Lo ha detto il procuratore capo di Termini Imerese Ambrogio Cartosio iniziando la conferenza stampa sul naufragio del Bayesian. (ANSA)

Si potrebbe lasciare così com’è questa affermazione, abbandonarla al suo destino di un’altra delle molte agenzie sul caso della barca milionaria affondata in Sicilia, dove normalmente vanno giù i barconi arrugginiti. E invece qualcosa va detto, per forza e per dignità. Vero è che una sciagurata legge del 2006 aggravata dal decreto Cartabia ha messo il silenziatore alle notizie di giudiziaria, ma è altrettanto innegabile che sussiste l’eccezione dei “casi particolari” e il naufragio del Bayesian certamente lo era.  Se 7 morti e 15 sopravvissuti non sono un evento straordinario, una notizia di sicuro interesse pubblico internazionale, allora non c’è speranza per l’informazione in generale. Il silenzio del Procuratore di Termini Imerese, al netto dell’impatto su una cronaca fatta praticamente “per sentito dire”, ha avuto il merito di mettere a nudo quanto sia assurdo il meccanismo introdotto nel 2006 e acuito all’inverosimile nel 2022 dalla legge dell’ex ministro della Giustizia, Cartabia. Da quando tutti si sono accorti del grave silenzio della Procura è stato sollevato il velo dai principi assurdi su cui fonda quella legge i cui effetti si abbattono su tutta la cronaca, anche quando non c’è alcun indagato da tutelare, concetto attorno al quale ruota la Cartabia. Informare sull’affondamento, su quante persone si stavano cercando, sulla posizione della barca, non avrebbe violato alcuna norma a tutela degli indagati, semplicemente perché fino a ieri non ve ne erano.

La cronaca non parla solo di persone indagate bensì, sempre e solo, di fatti di interesse pubblico. Confondere le due cose è disarmante. Il caso del buio informativo sul naufragio ha poi avuto un ulteriore pregio, ha “costretto” anche le fonti giudiziarie e in specie la massima fonte di quel territorio a dire ciò che i cronisti, gli organismi di rappresentanza della categoria, plurime associazioni e tutti gli osservatori internazionali dicono da anni, ossia che in Italia “la legge crea ostacoli notevoli all’attività della libera informazione”. Un mese fa ce lo aveva detto anche l’Europa. E mezzo Governo, inclusa la Presidente, se l’era presa molto a male.

Ancora a favore della “cronaca”, il decreto di cui parla il Procuratore Cartosio è quello contenente “Disposizioni in materia di riorganizzazione dell’ufficio del pubblico ministero”, in particolare il comma sui “Rapporti con gli organi di informazione” che recita: “Il procuratore della Repubblica mantiene personalmente, ovvero tramite un magistrato dell’ufficio appositamente delegato, i rapporti con gli organi di informazione esclusivamente tramite comunicati ufficiali oppure, nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenze stampa. La determinazione di procedere a conferenza stampa è assunta con atto motivato in ordine alle specifiche ragioni di pubblico interesse che la giustificano”.
(Nella foto la conferenza stampa del Procuratore di Termini Imerese)

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