Il Boia al lavoro in Iran, mentre si teme una guerra nel Medio Oriente

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Mentre il Medio Oriente vive momenti di angoscia per il possibile attacco della Repubblica Islamica e dei suoi alleati dell’Asse della Resistenza contro Israele e la reazione militare di questo paese, in Iran il boia continua a lavorare senza sosta.

Nella sola giornata di 6 agosto 34 esecuzioni sono avvenute in 4 prigioni del paese. Tra gli impiccati anche Reza Rasayie, un giovane curdo di fede yaresani, arrestato durante le manifestazioni di protesta contro l’uccisione della giovane curda Mahsa Jina Amini, uccisa il 16 settembre del 2022, mentre era in custodia della “polizia morale”. Prima di Reza Rasayie, altre 9 persone arrestate durante le proteste del 2022 erano state impiccate.

Nella Repubblica Islamica dall’inizio dell’anno 345 sentenze di morte sono state eseguite. 91 solo negli ultimi 30 giorni e dopo la nomina di Massoud Pezeshkian alla presidenza della repubblica.

La Missione d’inchiesta internazionale e indipendente delle Nazioni Unite per verificare gli abusi commessi dalla Repubblica Islamica dopo la rivolta del 2022, formata oltre un anno fa, nel suo secondo rapporto mette in rilievo come in questi ultimi due anni le minoranze etniche e religiose in Iran hanno pagato un prezzo molto alto anche rispetto alla popolazione del resto del paese.

Sono soprattutto le minoranze curde e baluci, che hanno avuto un ruolo molto importante durante le proteste del 2022 e nei mesi successivi ad essere colpite ed a pagare un prezzo molto alto. Bisogna tenere conto che gran parte dei curdi e dei beluci sono anche di fede sunnita, discriminata da un regime in mano al clero sciita.

Essere curda, sunnita e donna è sufficiente per essere considerate dal regime degli ayatollah un “nemico” da combattere e da reprimere, ragione per cui è stata maltrattata fino alla morte anche la giovane Mahsa Jina Amini. Anche lei era donna, curda e di fede sunnita.

Un giorno prima del secondo turno delle recenti pseudo elezioni presidenziali, il Tribunale della Rivoluzione di Rasht, nel nord del paese, ha condannato la sindacalista Sharifeh Mohammadi alla pena di morte. Curda e sunnita, oltre che donna, Sharifeh per anni era impegnata in un comitato nato per favorire la formazione di un sindacato indipendente. Un comitato che fino al suo scioglimento nel 2012 per ordine della magistratura, si riuniva alla luce del sole. Il Tribunale della Rivoluzione di Rasht ha accusato questa sindacalista per aver commesso il reato di “baghy”, cioè ribellione armata contro la Repubblica Islamica che prevede la pena di morte.

Una settimana dopo, questa volta il Tribunale della Rivoluzione di Teheran ha condannato un’altra donna curda, Pakhshan Azizi, sempre per il reato di “baghy” alla pena di morte. Pakhshan per 7 anni prima di rientrare in Iran aveva lavorato nei campi profughi in Siria, durante la guerra dei curdi siriani contro l’ISIS.

E’ stata accusa del reato di “baghi” ossia ribellione armata contro la Repubblica Islamica anche una terza donna curda dal Tribunale della Rivoluzione di Teheran. La sentenza contro Varishe Moradi non è stata ancora emessa, ma viste le accuse è prevedibile che anche lei venga condanna a morte. Varishe si occupava dei diritti delle donne nell’ambito di KJAR, ossia l”associazione delle Donne Libere del Kurdistan Orientale.

Accusata di “bagy” dal Tribunale della Rivoluzione di Teheran, anche la giovane Nasim Gholami Simyari, arrestata durante le manifestazioni del 2022 assieme ad altre sette persone. Del gruppo solo lei e un altro giovane, Hamidreza Sahlabadi, rischiano la condanna alla pena di morte e sono accusati di ribellione armata.


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