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Alain Delon e i tormenti della Francia

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Forse nessuna personalità è stata più intensa, controversa ed espressiva di Alain Delon, scomparso all’età di ottantotto anni al termine di un’esistenza tanto grandiosa quanto ricca di ombre e di contraddizioni. Macron lo piange come un monumento della Francia. Non sorprende, essendo il nostro alla disperata ricerca di simboli e punti di riferimento per resistere al proprio declino.
Senza dubbio, possiamo affermare che Delon sia stato il Marlon Brando francese. Figlio della strada, bellissimo, a tratti angelico, a tratti demoniaco, è stato l’emblema degli anni del boom e del cinema d’impegno, sposandosi alla perfezione con maestri come Visconti e Antonioni in pellicole passate alla storia e ormai diventate leggendarie. “Rocco e i suoi fratelli” e “Il gattopardo”, tanto per citare due esempi, costituiscono altrettanti graffi d’autore: un racconto profondo e incessante delle storture del nostro Paese, rese universali dall’interpretazione di un attore straniero che, al netto delle sue idee politiche di destra, conosceva bene l’universalità dei diritti e dei valori.
Non sorprende, dunque, come dicevamo, che Macron gli renda il doveroso omaggio. Al di là di un’effettiva convinzione, vogliamo credere alla sua buona fede, c’è anche il comprensibile tentativo di tenere alta la tensione morale in un Paese diviso e mai così a rischio di sfaldamento. E il fatto che Delon fosse un amico dei Le Pen, quindi un avversario dell’attuale Presidente, fa il gioco di un condottiero giunto, a sua volta, politicamente parlando, all’ultimo ballo: un valzer viscontiano che mette in luce tutte le falle e i punti oscuri di un governo inadeguato e ormai fuori dalla realtà. Il che dimostra, tornando al cinema, quanto sia eterno il messaggio di Delon, protagonista delle nostre narrazioni barbare, crudele nel suo fascino abbagliante, sempre pronto a far emergere i lati peggiori dell’essere umano e, infine, prigioniero di un dolore che lo ha accompagnato per tutta la vita fino a corroderme l’anima.
Se se ne fosse andato in una fase di “grandeur”, in una “Belle époque” ricca di invenzioni, innovazioni e serenità, non dico che la sua scomparsa sarebbe passata inosservata ma non avrebbe avuto la stessa eco. Se se ne parla così tanto, è perché il suo addio si mescola alla sofferenza di un’intera Nazione, di un’Europa in cerca di se stessa, di un’umanità tormentata e in preda alla nostalgia per anni che non torneranno più.
Non sappiamo cosa ne sarà di noi in futuro. Sappiamo tuttavia che in quest’estate a forti tinte francesi, per via delle Olimpiadi e anche di un altro anniversario degno di menzione, ossia gli ottant’anni dalla morte dell’aviatore utopista Antoine de Saint-Exupéry, capace di condurre intere generazioni alla scoperta di nuovi orizzonti, sappiamo, dicevamo, che la comunità occidentale avverte il bisogno di immaginare un domani diverso e migliore. È come se se avessimo la necessità di esplorare quarantatré tramonti e perderci in essi, per restare alla metafora del Piccolo principe, e Delon, col suo feroce realismo, che di norma sarebbe l’opposto dell’onorismo ma non in questo caso, è stato tutto questo: una macchina del tempo, un sognatore con i piedi per terra, un rabbioso modello di vita vissuta senza risparmiarsi e, più che mai, un furibondo, impetuoso, travolgente bullo trasformato dal cinema in un sex symbol dotato, talvolta, persino di gentilezza.
Aveva ragione quando sosteneva di dovere tutto alle donne: dal suo grande amore per Romy Schneider ai rapporti stretti con Brigitte Bardot e Claudia Cardinale, BB e CC, le sue muse, icone di una bellezza che ha scandito il Novecento ed è arrivata fino a noi.
Ora che la lunga lotta di Alain Delon con i suoi demoni è terminata, rimane la nostra battaglia contro i fantasmi di una stagione maledetta.
La Francia brucia, trema, è fragile, sotto shock, si interroga sul suo domani e sa che la ribalta olimpica è destinata a non durare. Per questo, si aggrappa alla memoria di un genio senza lieto fine, così in sintonia con lo spirito del tempo da consentirci, per contrapposizione, addirittura di sperare in questa fase ormai senza speranza.

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