Un carro armato israeliano che accelera verso un gruppo di persone. Sono giornalisti, hanno il giubbetto blu con la scritta “PRESS”. Il video girato a Khan Yunis immortala il momento dello sparo contro di loro mentre corrono via. Nell’attacco sono rimasti feriti, colpiti alle spalle, Salma al-Qadoumi (nella foto) e Ibrahim Muharrib. Di Salma sappiamo che è ricoverata con lesioni alla schiena e rischia di non poter più camminare. Di Ibrahim nessuna notizia.
Questo ultimo episodio, che conferma quanto la guerra di Israele su Gaza abbia un impatto senza precedenti sugli operatori dei media, al 20 agosto il Comitato per la protezione dei giornalisti sostiene che siano almeno 113 reporter uccisi (altre fonti parlano di 169 vittime), pone ancora una volta in evidenza un fatto: è in atto una vera e propria caccia ai giornalisti.
L’attacco deliberato a operatori dell’informazione impegnati sul campo a raccontare il conflitto è un crimine di guerra.
Da tempo chiediamo che l’esercito israeliano si assuma le proprie responsabilità e sollecitiamo un’indagine internazionale sugli attacchi contro la stampa.
Con le organizzazioni di categoria dei giornalisti, come abbiamo già fatto scendendo in piazza a Roma lo scorso marzo, condanniamo l’uccisione dei colleghi che dal 7 ottobre hanno perso la vita a Gaza, Cisgiordania e Libano, e denunciamo gli attacchi mirati ai media dell’esercito israeliano.
Oggi più che mai è fondamentale che venga garantita protezione a chi opera sul campo e sia permesso alla stampa di oltrepassare i confini, di poter andare oltre il muro – fisico e ideologico – che impedisce di essere al centro di questa orribile guerra che ha già causato oltre 40 mila morti.
I giornalisti palestinesi sono costantemente nel mirino dell’esercito israeliano : centinaia e centinaia di vittime e di feriti, mai così tanti.
Come Articolo 21 continuano a sostenere la richiesta, avanzata attraverso una petizione sottoscritta da migliaia di giornalisti di tutto il mondo, di permettere l’accesso a Gaza ai reporter internazionali per poter constatare la drammatica situazione in cui si trova la popolazione palestinese.
Questa richiesta è resa ancora più urgente dai blackout mediatici che isolano completamente la Striscia di Gaza rendendo impossibile anche la comunicazione attraverso i social network.
il blocco totale all’ingresso nella Striscia imposto da Israele ha fatto sì che l’unico accesso possibile per i giornalisti internazionali fosse quello “controllato” dall’esercito (Idf – Forze militari dello Stato ebraico) con la “ condizione” di poter controllare i testi e il materiale raccolto (video e foto) prima della pubblicazione.
Il New York Times e il Washington Post si sono opposti a tale imposizione mentre la CNN ha accettato spiegando ai propri telespettatori di aver «acconsentito a questi termini per garantire una finestra, seppur ristretta, sulle operazioni militari di Israele a Gaza».
Chi scrive ritiene che chiunque si definisca giornalista non possa che ribellarsi all’idea di sottoporre preventivamente i testi degli articoli e dei servizi agli israeliani.
Sottostare alla censura preventiva è la negazione, la morte, del giornalismo.