Un visionario di nome Terzani 

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Tiziano Terzani è stato uno dei più grandi giornalisti, narratori, esploratori e visionari che l’Italia abbia mai avuto. Se n’è andato vent’anni fa, a soli sessantacinque anni, ed è inutile star qui a ribadire quanto sia straziante il vuoto che ha lasciato dietro di sé. Molto più interessante sarebbe, invece, rileggerlo, a cominciare dalle “Lettere contro la guerra” che scrisse dopo l’11 settembre, ormai in pensione, sentendosi libero di remare in direzione ostinata e contraria e di opporsi al fallacismo dilagante, inteso come pensiero di Oriana Fallaci, divenuto egemone nella destra italiana e non solo, e alla predicazione di morte che, da allora, non ci ha più abbandonato. Ciò di cui mi sono reso conto, immergendomi nelle sue pagine, è che è davvero difficile citare una frase di Terzani, per il semplice motivo che bisognerebbe citarle tutte. Più utile è, invece, osservare quanto fosse avanti il suo pensiero, in sintonia con ragazze e ragazzi che invocavano un altro mondo possibile e necessario e che per questo, ovunque, hanno subito una repressione disumana. Più utile è concentrarsi sulla sua strenua lotta contro ogni conflitto e, più che mai, contro le conseguenze di ogni conflitto. Più utile è analizzare la sua opera: oltre trent’anni di reportage nei quali ha raccontato l’Ansia profonda e ne è stato cambiato nell’animo e nell’approccio alla vita.
Non a caso, quando ci disse addio, aveva l’aria di un profeta, splendidamente isolato eppure pieno di gioia, circondato dall’affetto dei suoi cari e dalla stima di milioni di lettrici e lettori che consideravano ormai le sue opere simboli e punti di riferimento. Perché Terzani non aveva rapporti col potere ma solo con le persone.
Fu lui a scrutare da vicino il dramma della Guerra del Vietnam, fu sempre lui, nel ’93, a viaggiare in lungo e in largo in tutti i modi, tranne che in aereo, ricordandosi della profezia che gli aveva rivolto un indovino a Hong Kong nel ’76, fu lui a guardare negli occhi l’America e a tracciarne una diagnosi impietosa: un paese tronfio, pieno di sé, incapace di andare al di là dei propri interessi, egemone senza saper davvero dominare, presuntuoso al punto di voler piegare l’intero pianeta ai propri obiettivi e infine sconfitto dal proprio insostenibile modello sociale, economico e di sviluppo.
Non a caso, i libri della Fallaci vengono editati e rieditati in continuazione, quelli di Terzani no. È una scelta politica, assai prima che giornalistica o editoriale; è un modo per tener lontano dai riflettori un pensatore libero che parla all’oggi molto più di alcuni commentatori vivi e vegeti; è l’esaltazione del pensiero unico, nella speranza di potersi arroccare ancora un po’ a difesa dell’indifendibile; è una disfatta collettiva e una scelta scellerata che spinge altrove coloro che avvertono il bisogno di respirare e credere ancora in qualcosa di bello e di pulito. Perché Terzani questo è stato: un cultore della meraviglia, un uomo perbene che non si vergognava di esserlo, un idealista, un sognatore, un utopista e, quel che peggio per il sistema nel suo insieme, uno che non si pentiva, anzi si sentiva onorato, di costituire una stecca nel coro del conformismo.
Fu tra i primi a denunciare che la parola “pace” fosse stata bandita, fu tra i primi a mettere in risalto la distanza abissale fra le decisioni dei governanti e il comune sentire della gente, fu tra i primi a indicare al vecchio mondo euro-atlantico le ragioni di chi si opponeva alla sua globalizzazione insensata e distruttiva e fu tra i primi, ed è ciò che paga tuttora, in termini di oblio, a gridare a modo suo che sangue chiama sangue, guerra chiama guerra e odio chiama odio. Furono in pochi a dirlo apertamente, nei giorni in cui ingaggiammo la lotta al terrore che ci ha fatto sprofondare nel baratro di infiniti conflitti. Oltre a lui, ricordiamo Gino Strada e pochi altri coraggiosi esponenti di un’umanità non disposta a svendere se stessa e i propri principî in nome del profitto e della carriera personale. Per il resto, il vuoto, il silenzio, l’abisso. Un baratro che ha inghiottito tutte e tutti noi e dal quale non sembriamo in grado di uscire.
Vent’anni, caro Tiziano, ma tu sapevi bene che il fatto di aver ragione, in determinate circostanze, purtroppo non basta.

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