Verrebbe voglia di dire che qualche volta succede. Qualche volta succede che si ritrovino nello stesso luogo centinaia di persone diverse e straordinarie (consentitemi un minimo di autocelebrazione), accomunate da ideali repubblicani e patriottici (patrioti erano i partigiani, non i fascisti: di questi tempi, è doveroso ricordarlo), con la Costituzione nel cuore e una gran voglia di mettersi o di rimettersi in gioco.
Gli interventi che hanno preceduto il mio hanno descritto alla perfezione ciò che è accaduto lunedì sera presso la Casa delle donne. La presenza, contemporaneamente, del mondo del cinema ai massimi livelli, dei promotori di battaglie essenziali per la democrazia come quella in nome della liberazione di Julian Assange, di tanti ragazzi e ragazze di buona cultura e animati da una sincera passione politica e di molteplici protagonisti della vita pubblica del nostro Paese e non solo ha reso l’evento il più partecipato e affascinante degli ultimi anni, almeno per quanto riguarda Articolo 21. Nel mio caso, tuttavia, c’è un di più. Per me, infatti, la politica, scomodando Amendola, costituisce “una scelta di vita”. Una scelta per la quale ho spesso sofferto e che non è stato sempre facile coniugare con l’impegno giornalistico. Una scelta che, però, adesso si rafforza perché, come molte e molti di noi, mi considero allievo di Tina Anselmi, la staffetta “Gabriella”, che vedendo lo scempio compiuto ai danni dei partigiani decise di aderire alla Resistenza. In piccolo, e non suoni retorico, quella che stiamo vivendo è una stagione di resistenza. E in questa fase, come diceva la Anselmi, ho capito che per cambiare ll mondo bisogna esserci. Nessuno può farcela da solo, dunque occorre camminare gli uni di fianco agli altri. Insomma, sarò pure un tipo che si emoziona e si illude facilmente, lo rivendico, ma per me vedere esponenti del PD e del M5S che, finalmente, si cercano, si incontrano, collaborano e lo fanno apertamente, dopo aver attraversato anni di totale gelo, quando non di aperta ostilità, assistere a questo piccolo miracolo ha significato tornare a sperare in un’altra idea d’Italia. Mi è ancora caro, sempre di più, quello slogan che caratterizzò le giornate di Genova, ormai tanti anni fa: “Un altro mondo è possibile”. Sì, lo è, ma solo se avremo davvero la voglia di costruirlo e migliorarlo insieme. E di una politica pulita, onesta, collaborativa, attenta alle esigenze di cittadine e cittadini, limpida, capace di ascoltare oltre che di parlare, di gettare il cuore oltre l’ostacolo e persino di commuoversi, di questa politica ne abbiamo bisogno come l’aria.
Ci attende, infatti, un autunno di lotte, parlamentari e nelle piazze. Ci attendono gli Stati generali della RAI, la ridefinizione del M5S, l’evoluzione di AVS, il consolidamento del PD, molteplici elezioni amministrative e regionali e, più che mai, le battaglie comuni contro premierato e autonomia differenziata. Non avremo un minuto libero, dovremo sacrificare anche una parte di noi stessi e, forse, persino dei nostri affetti, ma ne varrà comunque la pena. Basta guardare negli occhi gli studenti e le studentesse che erano con noi lunedì sera per capire che è così. E io, senza esagerazioni, ho scelto di “arruolarmi”. Diceva, difatti, Enzo Biagi: “Sono contento di essere italiano: non per Fermi o per Marconi ma per l’umanità della mia gente, che si rivela quando le cose vanno male. Noi siamo un grande popolo nei momenti difficili”. Ancora una volta, aveva ragione.
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