Tiziana Ferrario a “ONE” con “Cenere”. Serata promossa con Articolo21 Orvieto

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“Cenere”. Perché “era un’economia a carbone e le ciminiere delle industrie riversavano la loro cappa opaca sulle cose. Oggi che il cielo è azzurro anche a Milano, dietro i luccichii dell’unica città ad ospitare italiani provenienti da tutte le regioni, si annida ancora un po’ di quella miseria e quel dolore. Tutto parte da lì, da quel luogo che rievoca i sobborghi fumosi di fine ‘800 della letteratura inglese che ho voluto raccontare con gli occhi delle donne, con la formula più libera del romanzo storico, ma che ha protagoniste vere e documentate”.

Danno conto di (e restituiscono dignità postuma a) un esercito femminile costretto a turni massacranti, le 304 pagine dell’ultimo libro di Tiziana Ferrario, pubblicato ad aprile da Fuoriscena e presentato mercoledì 24 luglio nel Giardino dei Lettori della Nuova Biblioteca Pubblica “Luigi Fumi” nell’ambito della sesta edizione della rassegna culturale “ONE – Orvieto Notti d’Estate”, promossa da Cantiere Orvieto. Una serata, realizzata in collaborazione con l’Associazione Articolo21, di cui l’ex volto del Tg1 è stata fondatrice, che l’ha vista dialogare con il collega giornalista Guido Barlozzetti.

“Con l’arrivo dell’Intelligenza Artificiale – ha sottolineato – stiamo vivendo un’epoca di grande rivoluzione, digitale. Nella primavera del 1898, quella industriale stravolse le campagne lombarde, trasformando le piccole fabbriche in grandi imprese e riempendo queste ultime di donne e bambini, in assenza di adeguate norme igieniche e di sicurezza. L’arrivo delle macchine ha segnato la nascita della classe operaia, ma anche della geniale borghesia imprenditoriale. È stata l’alba dei sindacati, del socialismo, della moda italiana in risposta a quella francese, delle contraddizioni.

Della prostituzione legalizzata, ma additata anche come stigma sociale. Di uomini emancipati politicamente, che restano sullo sfondo, e di donne come Rosa Genoni, la cui figura si staglia solo ora con nitidezza”. Tra postriboli e bordelli, solida autorità maritale e nascente Unione Femminile, c’è una riflessione sui generi molto attuale, a partire dal fatto che la prima legge che tenta di tutelare il lavoro delle donne, e la maternità, è solo del 1902. Fissa l’età minima delle operaie a 9 anni, 12 per i turni notturni di quattordici ore, lasciando libero il sabato pomeriggio per consentire loro di pulire casa.

Si dà conto così dello sciopero delle piscinine, della repressione violenta di un moto popolare e della censura dei giornali ai quali la scure della legge marziale impone di non raccontare i fatti. “È la ricerca storica negli archivi, a partire da quello del Corriere della Sera – ha aggiunto l’autrice – che mi ha guidato nella stesura del testo. Ho sfogliato, e in alcuni casi riproposto, documenti d’epoca. Ho cercato indirizzi e immaginato situazioni”. Espediente narrativo, l’amicizia tra Giovannina e Mariuccia, due bambine di appena 10 anni.

La prima, orfana di padre, è apprendista in una delle tante sartorie che servono le famiglie bene della borghesia cittadina. La seconda, invece, è la figlia del parlamentare socialista Luigi Majno e di Ersilia Bronzini, nel cui salotto si incontrano alcune delle protagoniste delle battaglie per l’emancipazione femminile. Una lotta per i diritti che si combatte ormai anche sulle strade, rischiando la libertà e perfino la vita. Tra le più impegnate, Alessandrina Ravizza, la contessa del brod, fondatrice della Cucina dei Malati Poveri, nel Quartiere Garibaldi, a pochi passi da Brera.

In Galleria Vittorio Emanuele, nella casa della socialista Anna Kuliscioff, la dutùra dei poveri, esule russa tra le prime laureate in Medicina in Italia e compagna di Filippo Turati, si discute di diritti degli operai. Coraggiose

e rivoluzionarie, sono milanesi che non si accontentano della carità, credono nell’istruzione come arma di riscatto dalla povertà, aprono scuole e biblioteche, avviano corsi professionali e chiedono inascoltate il suffragio femminile. Si muovono in luoghi oggi scintillanti e iconici, allora miserabili.


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