Massoud Pezeshkiian, il presidente “moderato” della Repubblica Islamica

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I governi occidentali hanno atteso con impazienza l’elezione di un nuovo presidente iraniano, uno che possa essere percepito come una figura riformista e moderata e che consenta loro di giustificare il riavvio dei negoziati sul nucleare e la creazione di partenariati strategici con Teheran.

Nelle ultime settimane, Teheran ha ricevuto messaggi dall’Occidente (anche durante un incontro segreto in Oman con i consiglieri del presidente degli Stati Uniti Joe Biden) secondo cui, anche se rifiutasse di contenere le sue politiche regionali e il suo programma nucleare, dovrebbe selezionare un leader che potrebbe essere presentato come un moderato e riformista.

Quel leader è Masoud Pezeshkian, un cardiochirurgo di 69 anni, diventato il nono presidente dell’Iran dopo il secondo turno delle elezioni generali del 5 luglio. Le elezioni sono seguite alla morte, il 19 maggio, del presidente Ebrahim Raisi in un incidente, con elementi sospetti che lasciano seri dubbi sulla sua natura accidentale.

Secondo i rapporti ufficiali del governo, meno del 40% degli aventi diritto si è recato alle urne nel primo turno delle elezioni, registrando l’affluenza alle urne più bassa nei 45 anni di storia della Repubblica islamica.

“Se non fosse stato per lo stimato leader della Rivoluzione [Ali Khamanei], non immagino che il mio nome sarebbe uscito dalle urne così facilmente”, ha detto Pezeshkian subito dopo la sua vittoria. Infatti non è da escludere che prima dell’apertura dei seggi elettorali per il primo turno delle elezioni del 16 giugno, Khamenei aveva già scelto Pezeshkian come nuovo presidente iraniano.

Vale la pena notare che Pezeshkian è stato squalificato dal Consiglio dei Guardiani tre anni fa, rendendolo non idoneo a candidarsi alle elezioni presidenziali. Tuttavia, dopo la morte di Raisi, si è diffuso il sospetto che Khamenei stesse cercando un candidato alternativo che potesse allentare le tensioni con i paesi europei e gli Stati Uniti. Ancora una volta, la Guida Suprema della Repubblica Islamica ha deciso quale nome del candidato dovesse uscire dalle urne.

La rappresentazione di Massoud Pezeshkian come un “moderato” è seriamente fuorviante. Pezeshkian ha una tendenza all’estremismo fin dalla sua giovinezza: è stato ministro della sanità durante il secondo mandato dell’ex presidente Mohammad Khatami, dal 2001 al 2005, e ha giustificato le azioni della Repubblica islamica utilizzando un linguaggio più morbido.

Dopo la rivoluzione islamica del febbraio 1979, Ruhollah Khomeini, il fondatore della Repubblica islamica, ordinò la chiusura delle università nell’aprile 1980. Furono riaperte dopo una massiccia epurazione di professori e studenti. Durante un’intervista con la TV di stato iraniana nel 2014, Pezeshkian ha riconosciuto il suo coinvolgimento nell’epurazione accademica presso la facoltà di Medicina di Tabriz. Ha ammesso di aver applicato un codice di abbigliamento all’università subito dopo la rivoluzione del 1979 e prima dell’implementazione ufficiale della legge sull’hejab obbligatorio. Fu lui, sostiene con orgoglio Pezeshkian, che impose alle studentesse a indossare foulard, spolverini lunghi e pantaloni quando frequentavano le lezioni.

Pezeshkian, che è stato presidente della Facoltà di Medicina dell’Università di Tabriz dal 1994 al 2000, ha deciso di vietare agli studenti maschi di specializzarsi in ginecologia. La pratica è simile a quelle attuate dai talebani afghani, che hanno ricevuto dure critiche da parte della comunità internazionale e dei governi occidentali.

Massoud Pezeshkian , durante il secondo mandato del presidente Mohammad Khatami, ha ricoperto la carica di ministro della Sanità e ha dovuto affrontare numerosi tentativi di impeachment da parte del Majlis (parlamento iraniano) a causa di questioni come la carenza di medicinali, gli onorari dei medici e i suoi eccessivi viaggi all’estero.

Usare il termine “moderato” per descrivere Pezeshkian, nonostante i suoi scarsi risultati in materia di diritti umani durante il suo mandato dal 2001 al 2005, lascia perplessi.

Il 23 giugno 2003, Zahra Kazemi, una fotografa-giornalista iraniano-canadese, è stata arrestata mentre fotografava raduni fuori dalla prigione Evin di Teheran le famiglie delle persone detenute durante le manifestazioni di massa avvenute nello stesso mese. Nonostante avesse un permesso del Ministero della Cultura e dell’Orientamento Islamico, Kazemi è stato preso in custodia ed è morto dopo aver trascorso 18 giorni in ospedale.

Le autorità carcerarie hanno affermato che Kazemi aveva riportato ferite a causa di una caduta accidentale o per aver sbattuto intenzionalmente la testa contro le sbarre della sua cella. Il procuratore Saeed Mortazavi, che aveva emesso il mandato d’arresto per Zahra Kazemi, ha affermato che la donna è morta per un attacco di cuore.

Massoud Pezeshkian, l’allora ministro della Sanità, classificò la morte di Kazemi come intenzionale ma respinse le accuse mosse dalla madre di Kazemi, che aveva denunciato segni di tortura sul corpo di sua figlia. Pezeshkian ha affermato di aver esaminato personalmente il corpo di Kazemi e di non aver trovato lividi o tagli sul suo viso. Ciò, nonostante un rapporto pubblicato quell’anno, la commissione investigativa del Majlis (il Parlamento iraniano) che faceva riferimento alle “ferite” trovate sul corpo del fotografo.

Pezeshkian ha respinto anche la richiesta del governo canadese di condurre un’indagine sulla morte di Kazemi, affermando che “l’Iran possedeva competenze sufficienti per esaminare il corpo e determinare la causa della sua morte”, e aggiungendo che “il paese proibiva alle squadre investigative straniere di interferire su vicende giudiziarie”.

Sebbene molti media occidentali descrivano Pezeshkian come un riformista, egli ha ripetutamente affermato nelle sue interviste dal 2011 ad oggi di non considerarsi un riformista. “Ho ripetuto cento volte, e lo ripeto nuovamente, che non sono un riformista”, dice Pezeshkian.

Durante la recente campagna elettorale, Pezeshkian ha rimproverato uno studente dell’Università di Teheran per aver criticato Khamenei, sottolineando che “nessuno ha il diritto di insultarlo e mancare di rispetto la Guida Suprema di cui lui si sente un servo”.

Negli ultimi anni, Pezeshkian ha definito le proteste popolari del dicembre 2017, dell’ottobre 2019 e la rivoluzione “Donna, Vita, Libertà” del 2021 non come “proteste” ma come “disordini”. Tuttavia, ha condannato le tattiche violente impiegate dalle forze di sicurezza e di polizia per reprimere i manifestanti.

Le voci che si sentono in questi giorni negli ambienti diplomatici occidentale, su eventuale cambio di rotta della Repubblica Islamica sulle politiche regionali o di una revisione del suo programma nucleare, dopo che il nuovo governo si insedierà il 30 luglio è una valutazione sbagliata.

In un’intervista del 2 luglio al Financial Times, l’ex ministro degli Esteri Kamal Kharazi (in carica dal 1997 al 2005), che attualmente guida il “Consiglio strategico per le relazioni estere” della Repubblica Islamica Iran, ha sottolineato che la politica estera dell’Iran non è dettata dai governi ma da Ali Khamenei in persona.

Vale la pena notare che il primo atto di Pezeshkian come nuovo presidente è stato quello di inviare un messaggio a Hassan Nasrallah, il leader degli Hezbollah libanesi. Seguito poi dai messaggi inviati a Hamas e le altre forze para militari pro iraniane in Iraq e nello Yemen. Un fatto che sottolinea quale potrebbe essere la politica estera del futuro governo.

Massoud Pezeshkian in una nota pubblicata dal quotidiano in lingua inglese di Teheran definisce la Russia e la Cina, “amici di lunga data della Repubblica Islamica” e sottolinea definisce la Russia di Vladimir Putin “un socio strategico e importante” con il quale il suo governo “continuerà ad avere rapporti privilegiati”.

Massoud Pezeshkiian, il presidente “moderato” della Repubblica Islamica

Di Ahmad Rafat

I governi occidentali hanno atteso con impazienza l’elezione di un nuovo presidente iraniano, uno che possa essere percepito come una figura riformista e moderata e che consenta loro di giustificare il riavvio dei negoziati sul nucleare e la creazione di partenariati strategici con Teheran.

Nelle ultime settimane, Teheran ha ricevuto messaggi dall’Occidente (anche durante un incontro segreto in Oman con i consiglieri del presidente degli Stati Uniti Joe Biden) secondo cui, anche se rifiutasse di contenere le sue politiche regionali e il suo programma nucleare, dovrebbe selezionare un leader che potrebbe essere presentato come un moderato e riformista.

Quel leader è Masoud Pezeshkian, un cardiochirurgo di 69 anni, diventato il nono presidente dell’Iran dopo il secondo turno delle elezioni generali del 5 luglio. Le elezioni sono seguite alla morte, il 19 maggio, del presidente Ebrahim Raisi in un incidente, con elementi sospetti che lasciano seri dubbi sulla sua natura accidentale.

Secondo i rapporti ufficiali del governo, meno del 40% degli aventi diritto si è recato alle urne nel primo turno delle elezioni, registrando l’affluenza alle urne più bassa nei 45 anni di storia della Repubblica islamica.

“Se non fosse stato per lo stimato leader della Rivoluzione [Ali Khamanei], non immagino che il mio nome sarebbe uscito dalle urne così facilmente”, ha detto Pezeshkian subito dopo la sua vittoria. Infatti non è da escludere che prima dell’apertura dei seggi elettorali per il primo turno delle elezioni del 16 giugno, Khamenei aveva già scelto Pezeshkian come nuovo presidente iraniano.

Vale la pena notare che Pezeshkian è stato squalificato dal Consiglio dei Guardiani tre anni fa, rendendolo non idoneo a candidarsi alle elezioni presidenziali. Tuttavia, dopo la morte di Raisi, si è diffuso il sospetto che Khamenei stesse cercando un candidato alternativo che potesse allentare le tensioni con i paesi europei e gli Stati Uniti. Ancora una volta, la Guida Suprema della Repubblica Islamica ha deciso quale nome del candidato dovesse uscire dalle urne.

La rappresentazione di Massoud Pezeshkian come un “moderato” è seriamente fuorviante. Pezeshkian ha una tendenza all’estremismo fin dalla sua giovinezza: è stato ministro della sanità durante il secondo mandato dell’ex presidente Mohammad Khatami, dal 2001 al 2005, e ha giustificato le azioni della Repubblica islamica utilizzando un linguaggio più morbido.

Dopo la rivoluzione islamica del febbraio 1979, Ruhollah Khomeini, il fondatore della Repubblica islamica, ordinò la chiusura delle università nell’aprile 1980. Furono riaperte dopo una massiccia epurazione di professori e studenti. Durante un’intervista con la TV di stato iraniana nel 2014, Pezeshkian ha riconosciuto il suo coinvolgimento nell’epurazione accademica presso la facoltà di Medicina di Tabriz. Ha ammesso di aver applicato un codice di abbigliamento all’università subito dopo la rivoluzione del 1979 e prima dell’implementazione ufficiale della legge sull’hejab obbligatorio. Fu lui, sostiene con orgoglio Pezeshkian, che impose alle studentesse a indossare foulard, spolverini lunghi e pantaloni quando frequentavano le lezioni.

Pezeshkian, che è stato presidente della Facoltà di Medicina dell’Università di Tabriz dal 1994 al 2000, ha deciso di vietare agli studenti maschi di specializzarsi in ginecologia. La pratica è simile a quelle attuate dai talebani afghani, che hanno ricevuto dure critiche da parte della comunità internazionale e dei governi occidentali.

Massoud Pezeshkian , durante il secondo mandato del presidente Mohammad Khatami, ha ricoperto la carica di ministro della Sanità e ha dovuto affrontare numerosi tentativi di impeachment da parte del Majlis (parlamento iraniano) a causa di questioni come la carenza di medicinali, gli onorari dei medici e i suoi eccessivi viaggi all’estero.

Usare il termine “moderato” per descrivere Pezeshkian, nonostante i suoi scarsi risultati in materia di diritti umani durante il suo mandato dal 2001 al 2005, lascia perplessi.

Il 23 giugno 2003, Zahra Kazemi, una fotografa-giornalista iraniano-canadese, è stata arrestata mentre fotografava raduni fuori dalla prigione Evin di Teheran le famiglie delle persone detenute durante le manifestazioni di massa avvenute nello stesso mese. Nonostante avesse un permesso del Ministero della Cultura e dell’Orientamento Islamico, Kazemi è stato preso in custodia ed è morto dopo aver trascorso 18 giorni in ospedale.

Le autorità carcerarie hanno affermato che Kazemi aveva riportato ferite a causa di una caduta accidentale o per aver sbattuto intenzionalmente la testa contro le sbarre della sua cella. Il procuratore Saeed Mortazavi, che aveva emesso il mandato d’arresto per Zahra Kazemi, ha affermato che la donna è morta per un attacco di cuore.

Massoud Pezeshkian, l’allora ministro della Sanità, classificò la morte di Kazemi come intenzionale ma respinse le accuse mosse dalla madre di Kazemi, che aveva denunciato segni di tortura sul corpo di sua figlia. Pezeshkian ha affermato di aver esaminato personalmente il corpo di Kazemi e di non aver trovato lividi o tagli sul suo viso. Ciò, nonostante un rapporto pubblicato quell’anno, la commissione investigativa del Majlis (il Parlamento iraniano) che faceva riferimento alle “ferite” trovate sul corpo del fotografo.

Pezeshkian ha respinto anche la richiesta del governo canadese di condurre un’indagine sulla morte di Kazemi, affermando che “l’Iran possedeva competenze sufficienti per esaminare il corpo e determinare la causa della sua morte”, e aggiungendo che “il paese proibiva alle squadre investigative straniere di interferire su vicende giudiziarie”.

Sebbene molti media occidentali descrivano Pezeshkian come un riformista, egli ha ripetutamente affermato nelle sue interviste dal 2011 ad oggi di non considerarsi un riformista. “Ho ripetuto cento volte, e lo ripeto nuovamente, che non sono un riformista”, dice Pezeshkian.

Durante la recente campagna elettorale, Pezeshkian ha rimproverato uno studente dell’Università di Teheran per aver criticato Khamenei, sottolineando che “nessuno ha il diritto di insultarlo e mancare di rispetto la Guida Suprema di cui lui si sente un servo”.

Negli ultimi anni, Pezeshkian ha definito le proteste popolari del dicembre 2017, dell’ottobre 2019 e la rivoluzione “Donna, Vita, Libertà” del 2021 non come “proteste” ma come “disordini”. Tuttavia, ha condannato le tattiche violente impiegate dalle forze di sicurezza e di polizia per reprimere i manifestanti.

Le voci che si sentono in questi giorni negli ambienti diplomatici occidentale, su eventuale cambio di rotta della Repubblica Islamica sulle politiche regionali o di una revisione del suo programma nucleare, dopo che il nuovo governo si insedierà il 30 luglio è una valutazione sbagliata.

In un’intervista del 2 luglio al Financial Times, l’ex ministro degli Esteri Kamal Kharazi (in carica dal 1997 al 2005), che attualmente guida il “Consiglio strategico per le relazioni estere” della Repubblica Islamica Iran, ha sottolineato che la politica estera dell’Iran non è dettata dai governi ma da Ali Khamenei in persona.

Vale la pena notare che il primo atto di Pezeshkian come nuovo presidente è stato quello di inviare un messaggio a Hassan Nasrallah, il leader degli Hezbollah libanesi. Seguito poi dai messaggi inviati a Hamas e le altre forze para militari pro iraniane in Iraq e nello Yemen. Un fatto che sottolinea quale potrebbe essere la politica estera del futuro governo.

Massoud Pezeshkian in una nota pubblicata dal quotidiano in lingua inglese di Teheran definisce la Russia e la Cina, “amici di lunga data della Repubblica Islamica” e sottolinea definisce la Russia di Vladimir Putin “un socio strategico e importante” con il quale il suo governo “continuerà ad avere rapporti privilegiati”.

 


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