“Macbeth”, di William Shakespeare. Compagnia Godot di Bisegna e Bonaccorso.

0 0

Scena e regia di Vittorio Bonaccorso.

Riduzione e costumi di Federica Bisegna.

Con Vittorio Bonaccorso, Federica Bisegna, Lorenzo Pluchino, Alessio Barone, Benedetta D’amato, Alessandra Lelii, Anna Pacini, Angelo Lo Destro, Mario Predoana, Cristiano Marzio Penna.

Voce di Ecate di Anna Passanisi.

Musiche di Giuseppe Verdi scelte da Vittorio Bonaccorso.

Elaborazioni musicali di Alessio Barone

Castello di Donnafugata, Ragusa.

Palchidiversi Estate 2024.

“Macbeth” è forse l’opera più cinematografica, insieme all’ “Amleto”, uscita dalla penna di William Shakespeare. E, infatti, tanti sono stati gli adattamenti per il grande schermo. Ricordiamo soltanto quelli storici e geniali di Welles, Kurosawa e Polanski. E proprio alla versione del grande regista franco-polacco, datata 1971, primo suo “tremendo” film dopo la tragedia di Bel Air, con la moglie Sharon Tate trucidata, in attesa di un figlio, dalla follia di Charles Manson, sembra ispirarsi Bonaccorso nella sua messa in scena tanto cerebrale quanto visionaria. Il regista e interprete ragusano sceglie la linea del melodramma, con tante note verdiane ad accompagnare la discesa negli inferi della mente di Macbeth, prototipo dell’uomo freudiano, scisso tra desiderio e sensi di colpa, e per questo in grado di empatizzare con il pubblico, inevitabilmente coinvolto in un inquietante quanto “realistico” rispecchiamento, accentuato dalla figura, altrettanto emblematica nell’economia dell’ opera, di Banquo, il fidato generale collaboratore di Macbeth (un bravissimo Lorenzo Pluchino), roso dall’ invidia e pronto ad eliminare il suo potente ” amico”. Per dirla con Jung, il problema è, innanzitutto, l’ Uomo e non la realtà che lo circonda, solo corollario alla sua tragica essenza. Per questo il discorso sul potere, incarnato da Lady Macbeth, una straordinaria Federica Bisegna, non è assolutamente centrale in questa opera del grande Bardo, nonostante le apparenze narrative. Il motivo trainante diventa, progressivamente, quello dell’affermazione dell’Io, che trascina Macbeth fino alla follia visionaria (genialmente rappresentata sulla scena anche attraverso l’uso di immagini “mentali”, proiettate all’esterno su un grande schermo). La “sofferenza” criminale di Macbeth è, certamente, veicolata all’interno di un processo dialettico, tutto “storico”, di acquisizione di un potere assoluto, che lo porta ad eliminare, senza alcuna pietà, i suoi avversari, ma la spinta primaria è erotico-vitalistica, vissuta, dunque, anche attraverso grandi momenti di travaglio interiore, che coincidono con quelli di lucidità assoluta di una mente preda di una scissione impossibile da governare. Per questo la messinscena sembra richiamare anche più di un motivo della trilogia del grande cineasta russo Aleksandr Sokurov, dedicata alle figure di Hitler, Lenin e Hirohito. Il pathos recitativo di Bonaccorso, che dà vita ad un Macbeth davvero notevole, e per certi versi inedito, è tutto proiettato così verso la dinamica dello smarrimento esistenziale, assolutamente moderna, ed in linea con i grandi temi della filosofia che vanno da Schopenauer a Nietzsche. A completare questa impeccabile interpretazione del testo scespiriano sono anche le scelte scenografiche, da sempre un punto di forza del teatro di Bonaccorso. Il palcoscenico verticale, ricavato dalla scalinata del Castello di Donnafugata, consente all’attore e regista ibleo di organizzare una dinamica recitativa che, anche grazie all’uso sapiente delle luci, virate al rosso e al nero della tragedia incombente, realizza un gioco di zoomate “umane” che, alternando gli interpreti in primi piani e campi lunghi, dà sostanza fisica alla logica della loro presenza scenica.

Ottime tutte le interpretazioni dei tanti personaggi dell’opera, e meritati gli scroscianti e interminabili applausi finali.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21