Laura Ricci, Senegal familiare, un viaggio insolito

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Laura Ricci è una scrittrice piena di passione. Passione d’amore che cogliamo  quando  canta di sé, da “La strega poeta” al più recente canzoniere “D’amore e d’altre minuzie”, a quando traduce Elizabeth Barrett Browning in “ Di libertà e d’amore. Sonetti dal  portoghese” o coglie le rose poetiche più belle e profumate, simbolo per eccellenza dell’amore in “E io sono una rosa”. Passione politica, come in “Rose di pianto”. Altra passione i viaggi, che la conducono ad esplorare luoghi, città, Paesi e sentimenti, come nei racconti di “Dodecapoli”  o negli haiku di “In viaggio. Grani di saudade”. Nella varietà dei lavori costante è nell’autrice la ricerca di un equilibrio tra amore/ passione e ragione, in una rielaborazione continua tra ciò che avviene e ciò che sembra, ciò che sentiamo e ciò che sappiamo, ricordiamo, abbiamo appreso dall’esperienza e dai libri.  Particolarmente meditata, fino quasi a trattenere la passione, è la trama di eventi, descrizioni e riflessioni dell’ultimo suo libro, “Senegal familiare”, edito da Robin edizioni, 2024. Si tratta di un diario di viaggio, non scritto giornalmente, ma dopo un anno circa dal viaggio e ciò, spiegherebbe ulteriormente il tono meditato, insieme a quella che ritengo  l’intenzione dell’autrice di filtrare tutto  ciò che le arriva con uno sguardo di obiettività, che tutto registra e tutto accoglie; tenendosi lontana da stupori incongrui e giudizi avventati in un continente lontano, diverso, complesso come l’Africa,  tanto e tanto a lungo vagheggiato. Del resto, spiega la scrittrice, il desiderio del viaggio in genere nasce in lei “… per abbandonare il consueto; per lasciare il letto, la casa, la patria, la lingua e, varcando frontiere, liberare altri diversi strati di me; talvolta per approfondire il silenzio e fare vuoto e, sconosciuta tra gli sconosciuti, saggiare meglio chi sono e cosa voglio”. Se, come avverte, viaggia per umiltà, “nessuno tra gli altri nessuno” e  per ridimensionare il suo posto nel mondo, in lei il desiderio opera anche a posteriori, “si schiude a casa; e a casa torna, dopo aver fatto dimora in altre case, per naufragare senza drammi in infinite nostalgie. Interminabile indeterminato nostos, che anela a terre, popoli, mari, non necessariamente a lontani continenti”.

  Questo viaggio in Senegal ha per Laura Ricci ragioni profonde e che risalgono nel tempo, “ il continente africano mi attrae e mi intimorisce”, ma anche uno scopo ben preciso. Oltre quello di conoscere un Paese, deve riaccompagnare a casa Demba, un giovane senegalese che per caso, o serendipità, come dice l’autrice, ha incontrato alcuni anni fa e che ha molto aiutato, fino a che è riuscito a ottenere il suo permesso di soggiorno. Intanto lui è diventato il suo enfant senegalais e lei la sua maman blanche. Adesso Demba può tornare, dopo anni di lavoro vendendo braccialetti in Italia per mantenere, quale primogenito, la sua numerosa famiglia e lei lo accompagna in questo ritorno. Il suo viaggio con Demba, come angelo protettore in un territorio lontano, sarà quindi un viaggio diverso da quelli organizzati  dalle agenzie turistiche, sarà un viaggio in “un Senegal relazionale, profondo, lento, capillare, familiare”.  Accolti all’aeroporto da “ tre giganti neri”, due dei fratelli di Demba e il suo amico più caro, dopo i calorosi saluti in wolof e le presentazioni, la conversazione procede agevolmente in francese. E’ solo il primo assaggio della taranga, la famosa “ospitalità senegalese, in cui l’ospite è sempre benvoluto e ben accetto, chiunque sia, a qualunque popolo e a qualsiasi religione appartenga, che sia povero o ricco, analfabeta o istruito, sano o storpio”. Ospitalità che, come vedrà nei giorni successivi, prevede sempre nella preparazione del cibo l’eventuale arrivo di un ospite inatteso o la circostanza che qualche vicino bisognoso passi con il suo pentolino ad attingere alla mensa allestita. Attraverso i primi giorni in famiglia a Diurbel, la città di Demba, la scrittrice ci introduce agli usi domestici del Paese. Leggendo trasversalmente il libro troviamo una sorta di ricettario di cibi e bevande tipici o usuali in circostanze formali e informali, dal piatto nazionale a base di verdure, pesce riso con il tradizionale soffritto di cipolle, la thieboudienne, al piatto più popolare, thiebouguinaar, a base di riso e pollo con il  solito soffritto, ai croccanti fataya di carne o pesce, gustoso spuntino da gustare in qualche bistrot bevendo un bissap – maison, sorta di sangria analcolica senegalese con fiori di ibisco, zenzero, limone, menta,arance, mele, ananas messi a macerare.  Tra le bevande immancabile a colazione e in altre circostanze il caffè touba, aromatizzato ai chiodi di garofano e zuccherato durante la preparazione. Così per gli abiti, dai boubou più semplici ai più colorati  e eleganti, sempre accompagnati dal durag assortito, una striscia di stoffa che le donne sanno aggeggiare in testa in diverse fogge. Le donne, sempre molto dedite alla cura delle acconciature e dell’abbigliamento, non esitano a cambiare più volte mise in uno stesso giorno o anche durante uno stesso pranzo. L’abbigliamento tradizionale si alterna tuttavia a volte a quello all’europea. La vita in famiglia conduce la scrittrice a vivere anche circostanze particolari come tre funerali e un matrimonio. Dopo pochi giorni dall’arrivo infatti la madre di Demba, Fatou, da lungo tempo malata di cuore, fa appena in tempo a riabbracciare  il figlio e muore. A breve distanza di tempo moriranno uno zio di Amady, parente di Demba e uno di Demba. Così per la famiglia si rinnoveranno i lenti  riti funebri del primo e dell’ottavo giorno. Laura Ricci segue le cerimonie funebri sostenuta dalla lettura del romanzo epistolare di Mariema Ba, “Une si longue lettre”. In Senegal è diffusa, anche se meno di un tempo, la poligamia e la scrittrice Mariema Ba che per prima, quarantacinque anni fa, ha riflettuto  sulla poligamia da un punto di vista femminile descrive la cerimonia funebre secondo la tradizione coranica, così come ancora avviene oggi. La salma della defunta viene sepolta il giorno successivo alla morte, nella terra senza sarcofago, avvolta in sette metri di percalle bianco. Il primo, il terzo, l’ottavo e il quarantacinquesimo giorno sono i momenti rituali in cui parenti, amici e conoscenti si radunano presso la casa della persona defunta. La scrittrice parteciperà solo ad alcuni momenti salienti dei riti per lasciare alla famiglia l’intimità e la circostanza le offrirà l’occasione di vivere per alcuni giorni nella famiglia dell’amico Amady. La triste circostanza di queste morti ravvicinate farà sì che il previsto matrimonio di Demba con Anta, la fidanzata che lo ha atteso tutti questi anni, avvenga senza festeggiamenti e solo i padri degli sposi si riuniranno in moschea per suggellare l’unione. La vena poetica della scrittrice ci consegna qua e là  descrizioni brevi ed efficaci  dei luoghi e dei contesti. Ci restano in mente immagini indelebili della piccola Diourbel con le sue strade polverose; l’architettura orizzontale delle habitations à loyer moderé, edilizia popolare del periodo coloniale francese; il mercato colorato da raggiungere in calesse; i giardini familiari con copiose bouganville, piccoli banani, alberi di karitè e talvolta maestosi sicomori sotto i quali avviare confidenziali conversazioni. Dalla piccola Diourbel alla più grande Thiès, dalla verticale e ventosa Dakar alla più vivibile  Touba non mancano le visite alle bellissime moschee: la Grande Moschea di Diourbel, quella semplice e lineare di Dakar,vicina all’Oceano  e quella di Touba. Queste visite danno l’occasione di parlare del “ Muridismo”, la singolare dottrina islamica professata dai senegalesi nel loro paese e, attraverso la loro organizzata e capillare confraternita, ovunque migrino nel mondo”. Cheik Ahmadou Bamba, fondatore della moschea di Diourbel e del credo muride, lontano dal fondamentalismo, e’ stato un grande mistico sufi che ha saputo mediare nella sua dottrina valori come la pace, la fratellanza, la solidarietà  e il lavoro. Meditazione  e preghiera per arrivare alla perfezione e alla grazia di Dio. Forse proprio questa religione, che si sintetizza nel motto “Prega come se tu dovessi morire domani e lavora  come se tu dovessi vivere per sempre”,  spiega la particolare grazia di questo popolo e lo storico pacifismo di questo Paese. Se la prima parte del viaggio si svolge  in modo atipico, secondo istanze e spostamenti di un viaggio familiare, non mancano nella seconda parte mete più canoniche come Goré, l’isola degli schiavi, simbolo e luogo di memoria della grande tragedia della deportazione degli schiavi; l’antica capitale Saint Louis ; il deserto di Lompoul, a soli dieci kilometri dall’Oceano;  il Lago Retba, “rosa” in wolof. Tutti luoghi che inducono a profonde riflessioni sul colonialismo del passato, sui rischi degli “aiuti” cinesi di oggi e sulle minacce all’ambiente  per lo sfruttamento attuale di risorse del Paese, vedi l’estrazione degli zirconi e l’incipiente turismo internazionale. Altri luoghi che penso siano rimasti nel cuore della nostra viaggiatrice e nella nostra curiosità sono La visita al Museo della Donna Henriette Bathily e al Museo delle civiltà nere, la cui lezione storica, scientifica e incontrovertibile è “ che siamo tutti di origine africana su questo pianeta”. Luogo straordinario anche la biblioteca che ospita le opere di Cheikh Amadou Bamba, filari di materiale manoscritto, stampato, tradotto in altre lingue “che si dice equivalga a sette tonnellate di libri” e fa capire “ quanto poco si sappia nel mondo gli uni delle culture degli altri. Per quanto si faccia, una sola vita  serve a  conoscere ben poco”. Il viaggio volge al termine e anche il diario chiuso in data  16 -02 – 2024. Una delle ultime  visite è stata all’Université Cheikh Anta Diop, dove gli studenti stanno vivendo una specie di ’68, volto però a una contestazione che protesta soprattutto per la scarsa occupazione dopo gli studi, per la subordinazione economica ad altri Paesi e la mancanza di una reale democrazia. L’autrice aggiunge infine una breve appendice per dar conto dell’esito delle elezioni che si sono  svolte, dopo un periodo di disordini, nel marzo 2024 e si sono concluse con la vittoria di Bassirou Diomaye Faye e la speranza di un rafforzamento delle istituzioni democratiche. A Dio piacendo, si augura l’autrice, il Senegal sarà un Paese ancora migliore quando tornerà, prima o poi, a completare il suo viaggio.


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