BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

La portata universale dell’esperienza religiosa

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È, forse, un’antica saggezza, quella di individuare nella tolleranza delle salde fondamenta sopra le quali possa essere possibile edificare le relazioni umane portandole ad un piano più elevato.

Nel mondo occidentale, l’uso del concetto di “tolleranza” si diffuse nel corso dei secoli del 1500 e del 1600, all’interno della discussione sul dissenso religioso nell’ Europa della Riforma protestante, sebbene dei segnali in tal senso si ebbero già nel Medioevo con Tommaso D’Aquino, che sostenne che si potevano tollerare le differenze di culto tra cristiani, ebrei e musulmani, facendo propria l’idea di Agostino d’Ippona che la fede, opera della grazia, non può essere imposta dagli uomini.

Successivamente, il problema della tolleranza si estese anche nell’ambito della libertà politica.

Infatti, il mondo antico non conosceva questa idea, tutti i culti erano permessi.

L’ idea di tolleranza nasce, quindi, come risposta alla divisione fra le varie credenze cristiane e pone come suo fondamento razionale il primato e l’incoercibilità della fede personale interiore.

A sostegno di ciò troviamo in quel contesto storico, tra le altre cose, ‘De haereticis an sint persequendi’ (1554), nel quale Sebastien Castellion sostiene che l’eretico può essere allontanato dalla comunità solo dopo molti tentativi di persuasione, perché la fede è una credenza, da correggere quindi con interventi puramente spirituali, mentre la persecuzione, in quanto violenza, si oppone nettamente al principio della carità e fraternità cristiane.

Su questa scia provenirono numerosi altri contributi significativi, che videro fra i principali esponenti Montaigne, Grozio, Milton, Spinoza e Locke.

Ad esempio, ‘Aeropagitica’ (1644) di John Milton, con il suo appello per la libertà di stampa, fungeva anche da difesa dei diritti delle minoranze religiose, poiché la censura denunciata da Milton era spesso diretta verso trattati religiosi non convenzionali.

La ‘Letter concerning tolerance’ di Locke (1690) è generalmente considerata la più importante difesa della tolleranza religiosa, tanto da entrare nella tradizione americana attraverso la sua influenza sul ‘Progetto di legge per l’istituzione della libertà religiosa in Virgina’ (Thomas Jefferson 1779-1786) – pochi anni prima che il Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti sancisse la protezione della coscienza e della religione.

Locke sostiene che la via della salvezza non è un’azione esteriore obbligata, bensì una scelta spirituale personale e segreta; gli articoli di fede non possono essere imposti dalla legge perché credere non dipende dalla volontà ma da un moto interiore; inoltre, le credenze religiose non hanno alcuna relazione con i diritti civili.

Egli vede negli interessi dello Stato – inteso come società di persone costituita per garantite la libera espressione e rivendicazione dei diritti civili nel rispetto gli uni degli altri – cose come la vita, la libertà, gli averi, l’integrità, il benessere, e via di questo passo.

Mentre tra i suoi compiti non rientra la cura delle anime e la salvezza eterna perché rispetto a questi compiti il magistrato civile non ha strumenti efficaci.

D’altro lato, continua Locke, la Chiesa è una società privata, libera e volontaria costituitasi per onorare Dio nel modo giudicato (dai fedeli) a Lui più accetto, nella quale – come per tutte le associazioni private – non si può essere obbligati a entrare e dalla quale si deve poter liberamente uscire senza conseguenze di carattere civile.

Per Locke, le scelte dottrinali e liturgiche non possono che spettare al singolo individuo, oppure – per loro natura – appartenere a un ambito di cose prettamente personale, che lo Stato ha il dovere di riconoscere e rispettare, dal momento che il suo principale compito è solo reprimere ogni comportamento che violi le leggi pubbliche e metta in pericolo la convivenza.

Ci si potrebbe augurare, in questa visione di distinzione delle sfere d’interesse, che il concetto di Stato possa concretizzarsi (quantomeno in una maniera apprezzabile) come qualcosa socialmente super partes – sia per i credenti, i non credenti o per i credenti di altri culti, riconoscendo, dunque, il primato alla facoltà di scelta e abolendo, allo stesso tempo, l’idea di un rapporto involontario che, a priori, veda la subordinazione di un “appartenente”.

A conclusione di un lungo percorso, questi concetti di distinzione verranno recepiti in buona parte del mondo a partire dal XVIII secolo.

La nostra Costituzione nell’ art. 8, ad esempio, prefigura il modello della autonomia organizzativa delle confessioni religiose, sottolineando, chiaramente, con la condizione essenziale di non contrasto con l’ordinamento giuridico.

Ciò consente alle confessioni religiose di raggiungere il loro riconoscimento come personalità giuridiche, presupposto indispensabile per poter avviare i negoziati diretti alla conclusione delle Intese previste nello stesso art. 8.

In merito, occorre poi considerare anche l’art.

19 della Costituzione, che afferma la libertà di religione, declinandola, anche come libertà di esercizio di culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.

La disciplina primaria e secondaria si rinviene, invece, nella legislazione sui c.d. “culti ammessi”.

In particolare, l’articolo 2 del R.D. n.1159 del 1929 stabilisce il principio per il quale il riconoscimento della personalità giuridica degli “istituti dei culti” è adottato con Decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato e su deliberazione del Consiglio dei Ministri.

Dette norme, però, non consentono di individuare con certezza i requisiti necessari per una valutazione favorevole dell’Istanza di riconoscimento.

Tuttavia, il Consiglio di Stato, nell’ambito della sua attività consultiva, ha elaborato una giurisprudenza consolidata, che individua i parametri cui la pubblica amministrazione deve attenersi nella sua attività in materia.

Si evidenzia, a tal riguardo, che il provvedimento di attribuzione della personalità giuridica a un ente di culto diverso da quello cattolico ha natura concessoria ed è caratterizzato da discrezionalità amministrativa e tecnica.

La valutazione discrezionale della pubblica amministrazione è orientata verso determinati requisiti, che includono, sommariamente, le finalità cultuali dell’associazione (non solo dal punto di vista delle previsioni statuarie, ma anche in relazione alle attività effettivamente svolte), la consistenza numerica dei fedeli e l’ambito territoriale nel quale sono distribuiti.

Ci sono poi aspetti organizzativi ed economici da valutare in relazione all’autonomia patrimoniale, che includono la congruità del patrimonio rispetto al raggiungimento degli scopi statuari, la disponibilità dell’immobile in cui l’associazione ha la sua sede e l’individuazione nominativa del suo effettivo rappresentante.

Né le norme, né la giurisprudenza del Consiglio di Stato si esprimono sulla necessità di accertare requisiti soggettivi relativi alle persone fisiche titolari di incarichi direttivi nell’ambito della associazione che chiede il riconoscimento della personalità giuridica.

Si pone pertanto il problema di verificare se ed in quali limiti un tale accertamento possa essere condotto ed a quale fine.

In assenza di giurisprudenza rilevante nella specifica materia, il Consiglio di Stato ha poi evidenziato la natura tipicamente discrezionale dell’approvazione dei ministri di culto acattolico, rilevando come ciò comporti un potere di verifica della “personalità morale” dell’interessato, in relazione alle specifiche funzioni e finalità collegate.

Sulla stessa linea di ragionamento, il Consiglio di Stato pone in rilievo come esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica si pongano quale limite: è evidente, dunque, che gli accertamenti pregiudizievoli, in particolare quando questi siano gravi e relativi ad un consistente numero di soggetti, costituiscano un elemento di valutazione rilevante nell’orientare la discrezionalità amministrativa proprio sul cruciale limite individuato nell’assenza di contrasto con l’ordinamento giuridico dello Stato.

Ulteriormente, la ragione per la quale l’accertamento di precedenti ostativi può essere rilevante, si rinviene nell’art. 19 della Costituzione, ai sensi del quale il diritto a praticare il culto, indipendentemente o collettivamente, non può determinare un contrasto con il buon costume.

Alla luce del ragionamento fin qui condotto, viene ritenuto, quindi, che l’accertamento di situazioni attinenti la “condotta” delle persone fisiche incaricate di funzioni direttive negli enti ecclesiastici di culti non cattolici venga, a ragione, posto a base della valutazione discrezionale riconosciuta alla pubblica amministrazione.

In conclusione, gli accertamenti di tali situazioni (il fine di culto, l’autonomia patrimoniale e la “personalità morale” dei ministri e degli incaricati di funzioni direttive) potranno avere rilievo, ai fini della valutazione discrezionale, se ed in quanto indici della presenza di elementi di contrasto – nelle fattispecie sopra menzionate ed esaminate – con l’ordinamento giuridico dello Stato e con il buon costume.

In Italia, diverse confessioni non cattoliche hanno acquisito il riconoscimento di personalità giuridica, in qualità di enti di culto presenti sul territorio.

Molte altre sono invece sulla strada verso il riconoscimento.

A tal riguardo, se ne è parlato lo scorso 30 maggio nella capitale in un convegno di carattere internazionale presso la Chiesa di Scientology di Roma, organizzato con la collaborazione dell’Osservatorio su enti religiosi, patrimonio ecclesiastico e organizzazioni no profit, dell’Università degli studi della Campania ‘Luigi Vanvitelli’, moderato dal prof. Alfonso Celotto (Università Roma Tre) e dal prof. Antonio Fuccillo (Università degli studi della Campania).

Lo spirito e l’idea di base di tale convegno possono essere riassunti nell’introduzione iniziale da parte del rappresentante della Chiesa di Scientology italiana: “la libertà di religione e il rispetto del credo altrui sono sempre stati principi di importanza fondamentale per la Chiesa di Scientology “.

In linea con tale visione, fra gli ospiti relatori sono stati invitati anche l’Iman dott. Nader Akkad e Madre Anastasia (Diocesi ortodossa romena) – la portata universale dell’esperienza religiosa si configura qui, in questo contesto, chiara occasione di prova di incontro fra culture e una risorsa potenziale per la crescita della convivenza tra i popoli.

Nel XX secolo sono apparse diverse “nuove religioni” in occidente, includendo gruppi come Soka Gakkai, Hare Krishna e Scientology.

Tuttavia, queste nuove religioni non erano in realtà “nuove”.

Per esempio, il movimento Hare Krishna ebbe origine nel XV secolo in India, Soka Gakkai trae la sua origine nel buddismo e Scientology attinge ad eredità spirituali che si spingono lontano sino ai Veda.

In Italia, il movimento Soka Gakkai è stato l’ultimo ente di culto non cattolico ad acquisire il riconoscimento di personalità giuridica e questo si pone certamente di buon auspicio anche per le altre realtà diffuse sul territorio come la Chiesa di Scientology italiana – movimento religioso, Scientology, ormai presente con Chiese e fedeli nella maggior parte delle nazioni del mondo.

Gli interventi a riguardo del tema della libertà di credo hanno visto la partecipazione di ospiti esteri di rilievo politico, istituzionale e accademico, come il prof. José Daniel Pelayo Olmedo (Governo spagnolo, affari religiosi), la senatrice della Colombia, Lorena Rios Cuellar, il costituzionalista statunitense, Austin Hepworth, il prof. Vincent Berger (già giuri consulto CEDU) e il dott. Gary Vachicouras (Teologia ortodossa, Ginevra).

Mentre, in merito alla scena italiana del riconoscimento della personalità giuridica alle confessioni non cattoliche si sono visti i contributi della prof.ssa Maria D’ Arienzo (Università ‘Federico II’ di Napoli), del prof. Gianfranco Macri’ (Università di Salerno) e del prof. Francesco Sorvillo (Università della Campania ‘Luigi Vanvitelli’).

 

 


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